UN MAGISTRATO NON PUO’ COMMENTARE UNA SENTENZA IN TERMINI OFFENSIVI PER I COLLEGHI CHE L’HANNO PRONUNCIATA
Con dichiarazioni alla stampa (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 800 del 24 gennaio 2002 Pres. Vessia, Rel. Paolini).
Il magistrato Cristoforo B., pubblico ministero in un processo per omicidio davanti alla Corte di Assise di Appello di L’Aquila, ha reagito alla sentenza di assoluzione dell’imputato con dichiarazioni fortemente critiche rilasciate ai giornali quali: “Una sentenza fuori dalla realtà” (Il Tempo, Il Centro, Il Messaggero); “Come cittadino posso dire di essere esterrefatto, portato a chiedere chi ha sbagliato? Come P.M. che ha partecipato in aula ad un dibattimento che è stato acceso e penetrante posso solo riportarmi ad una frase che spesso diceva mia madre: Al peggio non c’è mai fine.” (Il Tempo); “Di che cosa hanno bisogno i giudici per condannare, della flagranza o della confessione?” (Il Centro); “A questo punto viene in ballo la capacità giuridica di tutti … se non parlare di una prevenzione; spiegatemi come è possibile racchiudere in due ore di Camera di Consiglio un processo tanto intenso, per analizzare tutti gli aspetti, dalle testimonianze, ai rilievi, alle perizie … mi chiedo: quale convincimento ha tratto il consigliere relatore. E’ stato lui ad influenzare i giudici popolari …” (Il Messaggero); “In due ore i giudici togati e popolari hanno deciso su una vicenda complessa, evidentemente è stato fatto un freddo esame degli atti, il relatore ha creato un convincimento che in 120 minuti non poteva essere sovvertito” (Il Centro).
Egli è stato sottoposto a procedimento disciplinare con l’addebito di avere gravemente mancato ai doveri di correttezza e riservatezza abbandonandosi a pesanti giudizi sulla professionalità dei colleghi e rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere un magistrato. La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura gli ha inflitto la sanzione dell’ammonimento. Il magistrato ha proposto ricorso per la cassazione di questa decisione, sostenendo, tra l’altro, che avrebbe dovuto essergli riconosciuto il diritto di esprimere liberamente la sua opinione.
La Suprema Corte (Sezioni Unite Civili n. 800 del 24 gennaio 2002 Pres. Vessia, Rel. Paolini) ha rigettato il ricorso osservando che al magistrato non è stato fatto carico di aver manifestato il proprio dissenso rispetto ad una sentenza, ma di avere criticato la decisione e i giudici che l’avevano resa in termini offensivi e tali da superare il limite della correttezza e della legittimità.
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