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Trasferimenti immobiliari al posto dell’assegno una tantum? Una soluzione possibile

Se si dispone di un patrimonio ingente e diversificato e si sta pensando di iniziare un procedimento di divorzio è utile sapere che ci sono alternative all’assegno di mantenimento mensile. La soluzione dell’assegno una tantum ne è un esempio, tramite il quale è possibile “liquidare” i diritti economici del coniuge anche attraverso trasferimenti patrimoniali, come somme di denaro, titoli azionari, beni mobili o immobili.

Se il marito, ad esempio, è proprietario di diverse abitazioni, la moglie potrebbe proporre un accordo che le riconosca il passaggio di proprietà di una o più case al posto dell’assegno di mantenimento. Oltre all’aspetto economico, dietro una scelta di questo tipo potrebbero esserci motivazioni più profonde come un legame affettivo ai luoghi frequentati durante il matrimonio.

La decisione dovrà essere comune e dovrà passare al vaglio del Giudice, ma potrebbe configurarsi come la soluzione migliore per tutte le parti coinvolte. Tornando all’esempio, la moglie potrebbe decidere di non volere una dipendenza economica dal marito negli anni a venire, mentre quest’ultimo avrebbe la possibilità di fermare sul nascere qualsiasi eventuale rivendicazione economica futura. Come la corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione, infatti, anche il trasferimento patrimoniale è un accordo che non prevede revisioni – se si escludono specifiche eccezioni – e a fronte del quale il beneficiario non può più rivalersi sull’ex.

Vantaggi fiscali dei trasferimenti

Un ulteriore vantaggio previsto per i trasferimenti immobiliari che avvengono durante il divorzio è la totale esenzione da tutte le imposte. Marito e moglie quindi saranno dispensati dal pagamento delle imposte di registro, ipotecarie, catastali, dal bollo e da tutti gli altri tributi accessori e il beneficiario dell’immobile – la moglie nell’esempio – potrà godere anche delle agevolazioni per la prima casa, se effettivamente l’immobile trasferitole sarà utilizzato come abitazione principale (e purché resti di sua proprietà per almeno 5 anni).

Inoltre, è fondamentale considerare che il passaggio di proprietà dell’immobile, essendo a tutti gli effetti un una tantum, ha carattere definitivo. Ciò significa che alla morte del coniuge che ha acquisito di diritto l’immobile, questo si trasferirà ai suoi eredi e non tornerà più di proprietà del coniuge “originale”.

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Il TFR alla morte del lavoratore. La concorrenza tra l’ex ed il nuovo coniuge

Un divorzio, l’incontro con un nuovo amore  un nuovo matrimonio. La creazione di una nuova famiglia è un desiderio naturale che nasce in moltissimi divorziati, ma può creare scompiglio negli equilibri raggiunti con l’ex coniuge. All’impatto emotivo spesso possono aggiungersi problemi patrimoniali.

Se il coniuge che si è risposato viene a mancare, poi, potrebbe di fatto innescarsi una contesa a distanza tra le due famiglie della persona defunta per la divisione dell’eredità.

Chiariamo subito che l’ex coniuge, fin da dopo il divorzio, non potrà essere ricompreso tra gli eredi legittimi di chi è scomparso. Questo non significa, però, che perda ogni tipo di diritto economico.

Così come avviene quando il lavoratore è ancora in vita, l’Ordinamento prevede che il coniuge divorziato riceva una quota del Trattamento di fine rapporto liquidato dopo la morte dell’ex.

La distribuzione del TFR tra i soggetti aventi diritto

Per ottenere questo beneficio il coniuge divorziato deve essere titolare di un assegno di mantenimento periodico.

La quota viene stabilita tenendo in considerazione tutte le persone che ne hanno diritto: il coniuge superstite, il coniuge divorziato, gli eventuali figli del lavoratore defunto o altri parenti a suo carico. Di fatto, il coniuge superstite dovrà dividere la sua quota di TFR con il coniuge divorziato.

Nel caso in cui l’ex coniuge si vedesse negare questo diritto da parte della nuova famiglia dell’ex questi ben potrà citare in giudizio tutti gli eredi. A quel punto, sarà il giudice a provvedere alla giusta suddivisione.

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L’assegno di divorzio dopo una convivenza matrimoniale lampo

Divergenze di opinioni, abitudini inconciliabili, differenze culturali. La convivenza che si instaura durante il matrimonio può portare alla ribalta aspetti del carattere, della personalità o del bagaglio socio-culturale dei due coniugi fino ad allora rimasti in secondo piano.

Può accadere, ad esempio, che marito e moglie, di etnie diverse, si rendano conto di quanto le rispettive influenze culturali e le tradizioni di ciascuno siano incompatibili con la quotidiana gestione della vita di coppia. Senza basi condivise e una comune prospettiva familiare, l’affetto non basta da solo per poter garantire alla relazione un futuro saldo. Dopo soli pochi mesi di vita coniugale, quindi, i due scelgono di separarsi. Ciascuno prende la propria strada e la moglie decide di fare ritorno a casa, nel suo Paese d’origine.

La vita dei due coniugi prosegue così su binari paralleli, distanti l’uno dall’altro, finché il marito non decide di convolare a nozze con una nuova compagna. La separazione però non prevede la possibilità di contrarre un nuovo matrimonio, ragione per cui l’uomo si decide a chiedere il divorzio dalla moglie

Le conseguenze di un matrimonio breve

Benché il matrimonio abbia avuto durata breve, la moglie potrebbe chiedere e ottenere un assegno divorzile. Naturalmente, è indispensabile che vi siano i presupposti per poterlo ricevere. La durata del matrimonio non rappresenta di per sé un criterio per ottenere l’assegno di mantenimento. Piuttosto costituisce un parametro che può influire nella determinazione del suo ammontare.

Dobbiamo, però, porre la dovuta attenzione a due ordini di fattori.

La “reale” durata del matrimonio

Secondo la legge, la durata del matrimonio non si esaurisce con la fine della convivenza coniugale né tantomeno con la pronuncia della separazione. Il matrimonio viene sciolto unicamente dalla sentenza di divorzio. Perciò, fino a quel momento, anche se separati, i due coniugi restano legati dal vincolo matrimoniale. Ai fini del calcolo e del riconoscimento dell’assegno divorzile, quindi, sarà considerato pure il periodo della separazione.

La comunione materiale e spirituale

Il matrimonio prevede la comunione materiale e spirituale dei coniugi. Se questa comunione nel corso della convivenza coniugale non si verifica, per volontà o colpa del coniuge richiedente l’assegno, la sua richiesta potrebbe essere respinta dal Giudice. Per esempio, il coniuge che non ha voluto consumare il matrimonio molto difficilmente otterrà un assegno di divorzio.

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Il divorzio in caso di una condanna penale

La cronaca nera ha spesso sconvolto per la crudeltà di eventi – omicidi, estorsioni, rapimenti – compiuti dal classico “uomo della porta accanto”. Una vita regolare, una famiglia come tante. Nulla sembrerebbe giustificare il gesto estremo. L’insospettabile diviene d’un tratto il mostro. Piccoli paesi fino a quel momento pressoché sconosciuti piombano improvvisamente sulle prime pagine dei quotidiani e nei titoli di testa dei TG nazionali. Le indagini diventano a tutti gli effetti un fatto mediatico, la tragedia viene spettacolarizzata. Il diritto di cronaca finisce per lasciar spazio ad approfondimenti che possono alimentare la morbosa curiosità del pubblico. La volontà di far luce sui fatti si tramuta in un’ossessiva ricerca di particolari anche scabrosi. La vita privata dell’individuo – colpevole o presunto tale – diventa di pubblico dominio, così come quella della sua famiglia.

Ed è proprio della famiglia che troppo spesso ci si dimentica. Mogli (e figli) finiscono travolti insieme sotto il peso schiacciante dei riflettori, privati del loro diritto ad affrontare il dramma al riparo dal facile giudizio altrui. A questo si deve aggiungere poi il trauma della drammatica presa di coscienza della reale natura dell’uomo che si aveva accanto. Quello con cui si è deciso di condividere il resto della propria vita – magari mettendo su famiglia – rivela tutto d’un tratto un lato nascosto, oscuro, malvagio, pericoloso.

Divorziare subito per voltare pagina

Per chi si trova in queste situazioni è possibile ottenere il divorzio senza dover passare dalla precedente fase di separazione, anche contro il volere dell’altro coniuge. Questa possibilità è applicabile unicamente nei casi di una condanna all’ergastolo o alla reclusione superiore ai 15 anni per reati non colposi. Il superamento della soglia dei 15 anni può derivare anche dalla somma di condanne relative a più crimini e contenute in più sentenze, pronunciate anche da giudici stranieri – purché si tratti di fatti penalmente rilevanti nell’ordinamento italiano. Fanno eccezione unicamente i reati politici e quelli commessi per motivi di valore morale o sociale. Certamente non si può pensare che un divorzio faccia dimenticare simili esperienze, ma può essere un modo per iniziare a voltare pagina.

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I limiti dell’assegno divorzile una tantum

L’assegno una tantum comporta che il beneficiario non possa più avanzare pretese economiche verso l’ex coniuge ma permette a quest’ultimo di farlo in caso di successive proprie difficoltà.

In sede di divorzio, nell’ottica di risolvere in modo definitivo ogni vicendevole pretesa economica, marito e moglie potrebbero ipotizzare un accordo che preveda il pagamento di un assegno divorzile una tantum reciproco. Agli occhi dei due coniugi questa soluzione potrebbe rappresentare la soluzione migliore per non correre il rischio appena accennato.

Tuttavia, la legge non prevede questa possibilità. La ragione principale è da ricercarsi nel principio su cui è fondato il riconoscimento dell’assegno di mantenimento e cioé la natura assistenziale dello stesso. Affinché venga riconosciuto dal Giudice l’assegno di mantenimento, infatti, è necessario che con il divorzio si venga a creare uno squilibrio economico tra le parti con un coniuge economicamente più forte rispetto all’altro. In uno scenario di questo tipo, e in virtù di un principio di solidarietà che dovrebbe permanere anche in caso di scioglimento del matrimonio, l’assegno verrebbe riconosciuto alla parte più debole della coppia.

Se al contrario si ammettesse la possibilità di ciascun coniuge di chiudere la fase di divorzio con il versamento reciproco di un assegno una tantum, si configurerebbe un caso del tutto anomalo: marito e moglie sarebbero cioè contemporaneamente parte debole e parte forte.

E’ doveroso sottolineare che il Tribunale rigetterebbe la domanda perché vedrebbe un accordo di questo tipo come un negoziato privato in contrasto con le norme imperative e di ordine pubblico, oltre che per il mancato rispetto dei principi che regolano l’assegno di mantenimento.

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Uno strumento poco conosciuto: l’Assegno successorio, cos’è e a chi spetta

Quando l’ex coniuge muore, il coniuge divorziato perde il diritto all’assegno divorzile che fino a quel momento percepiva. E non solo: il divorzio, cancellando lo status coniugale, cancella anche tutti i diritti successori. Non importa quanto a lungo sia durata la relazione, l’ex non rientra più tra gli eredi legittimi.

Oltre al dolore per la perdita di una persona che comunque ha avuto un ruolo significativo nella propria vita, il coniuge divorziato potrebbe ritrovarsi nella condizione di non riuscire più a far fronte alle normali spese quotidiane. Quando si perde l’assegno divorzile, magari rimasto l’unica fonte di reddito, i costi della casa, le spese mediche e persino quelle alimentari potrebbero seriamente diventare difficili da pagare.

In casi come questi, la legge prevede che al coniuge divorziato possa però essere riconosciuto un assegno successorio. Si tratta di un assegno a carico dell’eredità che quindi viene versato all’ex coniuge dagli eredi. E’ però necessario che l’ex coniuge si trovi in stato di bisogno: deve cioè trovarsi in condizioni economiche tali da non poter far fronte alle esigenze primarie ed essenziali di vita.

Richiesta e quantificazione

Per ottenere l’assegno successorio, il coniuge divorziato dovrà rivolgersi al Tribunale e farne richiesta. Il Giudice, dopo aver verificato il caso concreto, calcolerà la somma tenendo in considerazione diversi fattori, tra i quali, l’entità dell’eredità, il numero degli eredi e le loro condizioni economiche.

Difficilmente gli eredi potranno opporsi. Nemmeno se si tratta della nuova famiglia formatasi dopo il divorzio come nel caso di coniuge sposato in seconde nozze o di figli di “secondo letto”.

È importante però sottolineare che se nel tempo cambiano le condizioni economiche – tanto dell’ex coniuge divorziato, quanto degli eredi – potrà variare anche l’ammontare dell’assegno. Allo stesso modo, il diritto all’assegno successorio potrebbe venire meno se l’ex coniuge divorziato si risposasse o se cessasse il suo stato di bisogno, condizione fondamentale per poterlo ottenere.

Il divorziato che si trovi nella condizione di veder mancare improvvisamente l’ex coniuge, e con lui l’assegno di mantenimento, ha quindi a disposizione molteplici strumenti per poter fra fronte autonomamente ai proprio bisogni economici, o quantomeno a quelli di primaria necessità.

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L’inflazione aumenta e l’assegno di divorzio si adegua

Con il divorzio le strade dei due coniugi si dividono, spesso definitivamente. Ex marito ed ex moglie tornano a essere liberi di ricostruirsi una nuova vita indipendente l’uno dall’altra.

E’ in questa prospettiva che la moglie, ad esempio, potrebbe decidere di trasferirsi all’estero per rifondare lì le basi del suo futuro. Avendo ottenuto un assegno di mantenimento, teme però che questo, nel Paese verso cui è diretta, non sia più sufficiente a garantirle lo stile di vita che conduceva in Italia, a causa di un’inflazione ben più alta. In altre parole, il potere d’acquisto dell’assegno riconosciutole verrebbe, nel tempo, notevolmente ridotto.

La rivalutazione in base agli indici Istat

In Italia è previsto che gli assegni di mantenimento vengano annualmente aggiornati in base agli indici Istat. Si tratta di un adeguamento automatico e obbligatorio, che è sempre dovuto anche se il giudice non l’ha espresso nella sentenza in maniera esplicita. La rivalutazione mira a preservare il potere d’acquisto della somma stabilita in sede di divorzio e  permette di rapportate la misura dell’assegno al costo attuale della vita.

Di fatto, gli Indici ufficiali di svalutazione monetaria rappresentano il criterio minimo di rivalutazione garantito alla parte più debole. Il coniuge obbligato a corrispondere l’assegno non può sottrarsi al pagamento dell’eventuale adeguamento, salvo casi di evidente iniquità che dovranno però essere opportunamente motivati.

Altri criteri di adeguamento

 Il Giudice può eventualmente tenere in considerazione altri fattori, purché tale adeguamento non risulti inferiore a quello previsto attraverso l’applicazione degli indici Istat. Non è escluso, quindi, che chi decidesse di trasferirsi in un altro Paese, dove c’è un’inflazione maggiore a quella italiana, riesca a ottenere un adeguamento “personalizzato” dell’assegno di mantenimento (percentuale concordata, inflazione del paese estero ecc). Mentre l’adeguamento Istat è per legge, però, una rivalutazione secondo indici diversi dovrebbe essere oggetto di accordo tra i coniugi o di specifica istanza al Giudice del divorzio.

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Lui è un violento. Divorziare in caso di reati sessuali o familiari

Le statistiche che indagano sul fenomeno della violenza sulle donne dipingono una realtà estremamente drammatica. Da un studio Istat pubblicato il 5 giugno 2015 emerge che 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Sono dati pesanti, numeri che nascondono storie diverse, ma tutte accomunate dalla triste realtà di uomini violenti, che fin troppo spesso sono volti conosciuti: quelli di un padre o di un marito. A confermarlo è ancora una volta l’Istat, secondo cui il 62,7% degli stupri viene commesso da un partner attuale o precedente.

Chi scopre di aver sposato una persona pericolosa vive in costante stato d’angoscia, nel timore che quell’atteggiamento aggressivo e dispotico faccia improvvisamente capolino alla prima futile discussione. Si abitua a convivere con la paura fino ad accettare l’inaccettabile. Quando ci si ritrova a vivere in una simile situazione, non c’è altra soluzione se non agire tempestivamente. Chiedere il divorzio può essere una via di scampo da una relazione violenta.

Reati di violenza sessuale – come ad esempio la costrizione o il favoreggiamento della prostituzione e delle relazioni incestuose – o di violenza ai danni del coniuge e dei figli costituiscono cause per poter chiedere il divorzio immediato. 

Nell’attesa della sentenza esistono strumenti di intervento quali l’allontanamento dell’uomo dalla casa coniugale, e dalla famiglia, o provvedimenti ancora più restrittivi che gli impediscano di avvicinarsi non solo all’abitazione, ma anche alla scuola dei figli o alla sede di lavoro. Questi mezzi sono essenziali per evitare il ripetersi della situazione di difficoltà familiare nell’attesa delle formalità giuridiche. Consideriamo, tra l’altro, che in circostanze come queste i giudici sono soliti velocizzare, per quanto possibile, le tempistiche necessarie per la pronuncia del divorzio.

Un aiuto esterno per reagire alla violenza

La moglie che scopre di avere accanto un marito violento non deve esitare ad agire, per il suo bene e quello dei figli. Chiedere aiuto è importante per capire come affrontare una questione tanto delicata. Ed è fondamentale rivolgersi alle autorità per denunciare gli episodi di violenza nonché informarsi per poter avviare le procedure di divorzio e prendere le opportune precauzioni.

Per essere supportate in questo percorso le vittime possono anche contare sull’appoggio di strutture adeguate dove trovare psicologi, assistenti sociali ed consulenti legali in modo tale da essere seguite passo passo in queste complicate vicende giudiziarie e personali. La Comunità Europea sta lavorando per fare in modo che in tutti i paesi dell’unione tali appoggi siano previsti dalla legge e siano forniti sempre gratuitamente o, comunque, con notevoli agevolazioni economiche.

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L’assegno di divorzio: come muoversi per non farsi sorprendere

Una volta maturati i tempi per chiedere il divorzio, i due coniugi possono decidere di procedere con il definitivo scioglimento del matrimonio. Indipendentemente da quanto accaduto in sede di separazione, in questa fase vengono comunque effettuate le analisi economiche necessarie per poter definire l’eventuale assegno divorzile. Non sempre però i coniugi sono a conoscenza della reale situazione economica del partner.

Sono frequenti, per esempio, quei casi in cui la moglie, che per l’intera durata del matrimonio ha svolto un’attività casalinga, non abbia affatto chiaro il quadro economico familiare ed ignori l’ammontare del patrimonio e delle disponibilità economiche del marito. In un simile contesto, senza l’adeguato supporto, la moglie potrebbe incorrere in un grosso rischio: qualora le venisse riconosciuto un assegno divorzile, questo potrebbe essere calcolato su stime approssimative ed essere inferiore alle reali disponibilità del marito. Ecco che quindi risulta essenziale affidarsi a professionisti che aiutino il coniuge a fare luce sull’intera situazione.

Cos’è l’assegno di divorzio

Prima di tutto precisiamo che l’assegno di divorzio o post-matrimoniale è un contributo economico di natura assistenziale: mira cioè a tutelare la parte economicamente più debole della coppia garantendole i mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello in essere durante il matrimonio. Per ottenerlo, è indispensabile esaminare il criterio del tenore di vita insieme al contributo fornito alla conduzione della vita familiare dal coniuge in una concezione “composita” dell’assegno di mantenimento per la determinazione del quale deve essere fatta una valutazione più armonica e comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali.

E’ bene sottolineare che il coniuge che richiede l’assegno non deve necessariamente trovarsi in stato di bisogno, ma semplicemente in una condizione di svantaggio: lo scopo, infatti, è ristabilire attraverso l’assegno un equilibrio tra le parti dopo lo scioglimento del matrimonio.

Come viene determinato l’assegno di divorzio

Se le parti non trovano un accordo, Il processo di definizione dell’assegno divorzile prevede due fasi.

In primo luogo, il Giudice deve valutare se esiste o meno il diritto in astratto all’assegno, tenendo in considerazione tutta una serie di parametri. Tra questi, imprescindibile è l’analisi delle condizioni del coniuge richiedente cui abbiamo accennato in precedenza.

Se le condizioni in astratto ci sono, il Giudice dovrà allora definire concretamente l’ammontare dell’assegno.

Questa è una fase estremamente delicata nella quale è importante avere un quadro d’insieme completo. Per questo è preferibile rivolgersi ad uno Studio che collabori con un team di professionisti multidisciplinari, che operino su diversi livelli, per avviare eventuali indagini che approfondiscano e chiariscano la condizione economica e patrimoniale di marito e moglie: il loro reddito, gli eventuali immobili di proprietà, le pensioni sociali o d’invalidità e comunque la consistenza dell’intero patrimonio.

Commercialisti, consulenti e perfino investigatori privati, se necessario, lavorano insieme allo studio legale. L’obiettivo è mettere a fuoco il reale stato economico della controparte così come il contributo personale ed economico dato dai coniugi nella quotidianità dei bisogni della famiglia e dell’incremento del patrimonio.

Ecco perché, come nell’ipotesi delineata, è raccomandabile che il coniuge non si lasci tentare da un approccio “fai-da-te”, ma si rivolga a figure professionali qualificate, per tutelarsi al meglio e difendere i propri diritti.

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Ri…sedotto e abbandonato

Dopo la separazione, può accadere che i due coniugi siano travolti dalla passione che li legava un tempo e ricostruiscano un legame sentimentale: tornare a dormire moglie insieme, avere rapporti intimi, può creare aspettative e far pensare che i rapporti ricuciti possano andare nella direzione di una riconciliazione. Pensiamo alla doccia fredda che può avere un marito se dopo tutto questo la moglie decide di chiedere il divorzio.

Presupposti della riconciliazione 

Affinché la riconciliazione possa rendere nulli gli effetti della separazione è indispensabile che vi sia la concreta ricostituzione dell’unione. Marito e moglie devono cioè ritrovare quella comunione materiale e spirituale che contraddistingue il matrimonio e che viene meno in caso di separazione. In questo senso la semplice convivenza non è sufficiente, né lo è l’eventuale ripresa di rapporti sessuali: è necessario che i due coniugi ritrovino la comune volontà di rimettere insieme le forze per continuare un percorso di vita comune. Se ad esempio la conflittualità continua, nonostante il rinnovato tentativo di convivenza, è altamente improbabile riconoscere una riconciliazione. Diversamente, può essere confermata la riconciliazione nel momento in cui tra marito e moglie sia verificabile il fermo desiderio di entrambi di ricostruire un rapporto a due duraturo.

La riconciliazione come strumento per opporsi al divorzio

Perché si possa parlare di riconciliazione, quindi, è essenziale che la famiglia torni a essere unita e venga ripristinata la comunione alla base della vita di coppia. In tal caso il Giudice potrebbe ritenere interrotta la separazione, purché vi siano atti, comportamenti, gesti concreti, dimostrabili e oggettivi, che accertino l’effettiva ricostituzione del legame matrimoniale. Qualora quindi la riconciliazione fosse oggettiva e verificabile, il marito potrebbe opporsi all’eventuale richiesta di divorzio formulata dalla moglie. Se accertata, la riconciliazione cancellerebbe lo status di separati costringendo il coniuge che ha richiesto il divorzio a ricominciare l’iter dalla separazione.

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Dopo il divorzio, una nuova storia d’amore. Cosa accade all’assegno divorzile in caso di convivenza

Un matrimonio fallito alle spalle è senza dubbio una ferita che pesa. Eppure, anche quando si è convinti di non “avere più l’età” per innamorarsi o quando l’idea di un nuovo partner è proprio l’ultimo dei pensieri, può capitare del tutto inaspettatamente di ritrovarsi a vivere una relazione serena e felice.

Può così accadere che una donna, chiuso il capitolo del primo matrimonio, incontri un nuovo partner e inizi con lui una storia d’amore. Col tempo, se tutto procede per il meglio, potrebbe tornare a farsi vivo il desiderio di mettere radici più profonde, ad esempio andando a convivere e rendendo in questo modo più stabile il rapporto anche nella quotidianità. Vivere insieme è infatti un traguardo importante e significativo, da affrontare a cuor leggero se è ciò che si desidera realmente, ma quando si ha un divorzio alle spalle è bene conoscere quali potrebbero essere le conseguenze che una nuova convivenza potrebbe comportare, in primo luogo se si è titolari di un assegno divorzile.

Nuove nozze dopo il divorzio

L‘obbligo di corrispondere l’assegno all’ex coniuge viene meno in caso di seconde nozze. Se, cioé, il beneficiario decide di risposarsi, il suo diritto all’assegno divorzile cessa definitivamente. E’ necessario, però, depositare apposita istanza di modifica delle condizioni di divorzio al Tribunale competente.

La convivenza

Si può giungere ad una revisione delle condizioni di divorzio, anche quando il beneficiario inizi una nuova convivenza che ha carattere di stabilità e continuità. In particolar modo l’ex coniuge potrà perdere l’assegno di mantenimento, o vederselo ridotto, senza possibilità di chiederlo nuovamente, anche qualora la convivenza dovesse finire.

Non pensiamo, quindi di evitare intenzionalmente le nozze col nuovo compagno per il timore di perdere l’assegno di mantenimento privilegiando viceversa una convivenza, perché anche in quest’ultimo caso si potrebbe rischiare di vedersi negato il diritto all’assegno. Se l’ex richiedesse al tribunale una revisione degli accordi, il Giudice potrebbe stabilire una diminuzione dell’importo o perfino esonerarlo del tutto dall’obbligo di pagamento.

In qualsiasi circostanza, però, è bene precisare che l’assegno non può essere sospeso di propria iniziativa dal coniuge obbligato a versarlo. Solo una sentenza emessa dal Giudice può stabilire una revisione o la sua totale cancellazione.

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Cambiare lavoro per cambiare vita. Le conseguenze sull’assegno divorzile

Il lavoro rappresenta una componente fondamentale nella vita contemporanea: permette a ciascuno di ottenere quell’indipendenza economica necessaria non solo per poter realizzare il proprio progetto di vita – coniugale o meno – ma anche per poter dare libero sfogo alle proprie passioni. Molto spesso però il lavoro finisce per assorbire quelle energie, quell’attenzione e quel tempo libero che invece si vorrebbe dedicare ad altro.

Non è un caso il fatto che stia prendendo piede anche in Europa la cosiddetta pratica del downshifting. Uomini e donne, specie professionisti, decidono di riprendere in mano le redini della propria esistenza: volontariamente scelgono di rinunciare a una parte dello stipendio pur di rallentare i ritmi e godersi di più la vita. E’ con questo spirito che si opta per una riduzione dell’orario di lavoro o per il pensionamento anticipato. Non sempre però la decisione trova la giusta accoglienza da parte del partner o perfino dell’ex.

La diminuzione dello stipendio e l’assegno di divorzio

Col diminuire della disponibilità economica, il coniuge che è chiamato a versare l’assegno divorzile può chiederne la revisione. Ecco perché sono molto frequenti i casi in cui la scelta dell’ex marito di ridurre il proprio orario di lavoro o di andare in pensione viene osteggiata dall’ex moglie. Di fatto, la donna potrebbe interpretare la decisione dell’ex come una forma di ripicca nei suoi confronti, che si manifesterebbe nella diminuzione dell’assegno divorzile.

Tuttavia, al di là delle pretese dell’ex, la Cassazione ha stabilito che i cambiamenti economici dovuti a una scelta volontaria dell’ex coniuge rientrano di regola tra i giustificati motivi che prevedono la possibilità di rivedere l’assegno di mantenimento.

Il lavoro, la carriera, il prepensionamento sono scelte che rientrano tra i diritti di libertà della persona e come tali devono essere tutelati. Ecco che, per esempio, l’ex coniuge che decide di cambiare lavoro o passare da un full time a un orario part time, può chiedere, a fronte della diminuzione del proprio reddito, che le/gli venga ridotto l’ammontare dell’assegno di divorzio da pagare.

Procedimento di revisione dell’assegno divorzile

Affinché le condizioni dell’assegno di mantenimento vengano riviste, però, è sempre necessario rivolgersi al Tribunale. Il Giudice, a fronte di una domanda di revisione, dovrà riesaminare la situazione patrimoniale e reddituale dei due coniugi, alla luce delle novità emerse rispetto alla fase di divorzio. Verranno presi in considerazione, tra i vari aspetti, gli eventuali immobili di proprietà o in locazione, le rendite finanziarie, oltre al reddito da lavoro o alla pensione. Sarà solo dopo un’accurata valutazione delle condizioni economiche di entrambe le parti che verrà effettuata la revisione dell’assegno, soprattutto nel caso in cui vi sia un evidente mutamento.

L’ex coniuge che intende anticipare la pensione, cambiare lavoro o ridurre gli orari per avere a disposizione più tempo libero, quindi, non deve temere che questo suo desiderio venga male interpretato dal Giudice nel momento in cui dovesse richiedere una riduzione dell’assegno divorzile. Le decisioni del lavoratore che comportano una diminuzione del suo reddito non sono contestate a prescindere, ma diventano un presupposto per ribilanciare la situazione economica delle parti.

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