Quando il rifiuto dell’intimità causa l’addebito della separazione
Nella comunicazione contemporanea l’astinenza sessuale durante il matrimonio è diventata motivo d’ironia nell’eterno gioco tra le parti, ma da un punto di vista più strettamente giuridico rappresenta una violazione dell’obbligo coniugale di assistenza morale.
Il marito che, ad esempio, respinge ogni tipo di rapporto sessuale o affettivo con la moglie è responsabile di un comportamento lesivo e offensivo nei suoi confronti, perché i ripetuti rifiuti possono provocarle, alla lunga, frustrazione e disagio. Basti pensare a quanto possa risentirne la dignità della moglie, umiliata di fronte a ogni rifiuto.
L’astinenza fa scoppiare la coppia
Se l’astinenza non è dettata da malattie fisiche o motivazioni psicologiche, l’intimità contribuisce a creare e fortificare la comunione materiale e spirituale sulla quale si fonda il matrimonio. E’ l’amore, anche carnale, a tenere in vita un rapporto.
Sotto questa prospettiva, il rifiuto ad avere rapporti sessuali con il coniuge, se non debitamente motivato, può comportare l’affievolirsi di quella comunione coniugale che è base della vita a due. Un simile atteggiamento può ferire profondamente tanto quanto un tradimento: fa male, e chi subisce il rifiuto, spesso, si tormenta interiormente, nel vano tentativo di capire cosa non vada più bene in lei o in lui. Il fatto di non essere più desiderati colpisce gravemente la dignità di chi si vede ogni volta respinto, generando, col tempo, persino possibili disagi psicofisici.
Di fatto, il rifiuto d’intrattenere rapporti affettivi e sessuali del coniuge rappresenta causa sufficiente per chiedere la separazione e l’addebito della stessa e, in genere, non può essere giustificato come ritorsione o reazione rispetto al comportamento dell’altro e, nel caso in cui la moglie chiedesse la separazione perché non sopporta più di vedersi rifiutata dal marito, il Giudice potrebbe dichiarare l’addebito della separazione a quest’ultimo.