Il coniuge può ottenere la separazione o il divorzio anche se il marito, o la moglie, è irreperibile. Succede più spesso di quanto si possa immaginare, soprattutto quando i coniugi non hanno figli, e da anni non hanno più contatto tra loro, che uno dei due si rivolga all’avvocato specializzato in diritto di famiglia dicendo: “vorrei separarmi (o divorziarmi) ma non so più dove abita mia moglie (o mio marito), ho anche provato a chiedere un certificato di residenza al Comune ma risulta irreperibile, e ora come faccio?”. Può, infatti, succedere che il coniuge non sia più rintracciabile al Comune dell’ultima residenza conosciuta perché, ad esempio, ha lasciato la casa familiare senza comunicare il nuovo indirizzo oppure non è stato trovato durante l’ultimo censimento o, ancora, è un italiano che si è trasferito all’estero senza iscriversi all’AIRE (Anagrafe italiani residenti all’estero) e neppure ha comunicato alcunché al Consolato italiano o – ed è il caso più ricorrente – è un cittadino straniero che ha lasciato l’Italia senza più dare alcuna notizia di sé.
In questi casi di irreperibilità è, comunque, sempre possibile ottenere la separazione (o il divorzio). Sarà tuttavia necessario iniziare un procedimento contenzioso. La separazione e il divorzio possono essere più veloci: in Tribunale la separazione e il divorzio si possono chiedere insieme, con un unico atto, con l’assistenza di un avvocato, preferibilmente un avvocato divorzista. Non c’è più bisogno di fare prima un ricorso per chiedere la separazione, e poi un secondo ricorso separato per domandare il divorzio: per avere direttamente il divorzio immediato basterà fare una domanda cumulativa.
La separazione non viene cancellata, ci sarà sempre: non si tratta quindi di un “divorzio senza separazione”, ma ora i tempi per ottenere prima la separazione e poi il divorzio breve si sono velocizzati. L’avvocato quindi depositerà per il proprio cliente un ricorso in Tribunale ed entro 3 giorni il Tribunale fisserà – con decreto – la prima udienza. L’udienza è fissata in tempi brevi, ossia entro 90 giorni dal deposito del ricorso.
Il ricorso ed il provvedimento di fissazione dell’udienza, dovranno essere notificati, secondo una specifica procedura, all’altro coniuge.
Non è invece possibile iniziare una separazione (o un divorzio) consensuale per il semplice fatto che all’altro coniuge non si potrebbe far sottoscrivere il ricorso di separazione (o di divorzio) in quanto è, appunto, irrintracciabile. Tuttavia, se – a seguito della notifica – anche l’altro coniuge dovesse comparire dinanzi al Tribunale, sarà possibile trasformare il procedimento da contenzioso a consensuale, a patto – ovviamente – che i coniugi trovino un accordo sulle condizioni.
Quando il coniuge è irreperibile bisognerà quindi chiedere l’assistenza di un avvocato perché deve provvedere ad effettuare la notifica dell’atto giudiziario con un’apposita procedura prevista dal Codice di Procedura Civile, solitamente presso l’ultima residenza nota, ma potrebbero essere necessari anche altri ulteriori accorgimenti.
All’udienza, qualora il Giudice dovesse ritenere che la notifica si sia perfezionala, e che quindi si sia instaurato il contraddittorio, dichiarerà la contumacia dell’altro coniuge. In sostanza, anche se l’atto giudiziario non sia stato effettivamente ricevuto, o ritirato, dal destinatario (quindi dall’altro coniuge), il Giudice riterrà la notifica come se fosse avvenuta e, quindi, riterrà l’atto come se fosse stato ricevuto. Tutto questo a condizione però che siano state rispettate, nella notifica, alcune regole di procedura civile a garanzia e a tutela del destinatario. Il Giudice a questo punto dichiarerà l’altro coniuge contumace, ossia lo considererà come se fosse presente in causa, e continuerà il processo civile fino ad arrivare alla sentenza.
L’assenza dell’altro coniuge – il quale tendenzialmente avrebbe potuto sia opporsi alle domande e sia proporne altre – rende generalmente la causa un po’ più veloce, potendosi così arrivare alla sentenza di separazione (o di divorzio) in tempi assai rapidi.
Per ottenere il divorzio sarà sufficiente che:
1) ci sia stata la separazione: basta anche semplicemente la sentenza “parziale” di separazione che viene emessa già dopo la prima udienza, senza dover attendere la conclusione della causa
2) siano trascorsi 6 o 12 mesi a seconda che la separazione sia stata pronunciata a seguito di un giudizio consensuale o giudiziale.
La causa di separazione o divorzio giudiziale si introduce sempre con un ricorso ma si arriva dal Giudice alla prima udienza già con tutto in modo che sia più facile (e veloce) decidere. Quindi l’avvocato dovrà subito inserire negli atti, in maniera dettagliata e completa, tutti i fatti più rilevanti e, soprattutto, tutti i mezzi di prova (documenti, ricevute, foto, testimoni ecc.). Considerando che il procedimento si svolgerà in contumacia e, quindi, l’attività istruttoria sarà più breve, sarà possibile ottenere il divorzio più velocemente.
Reclamo alla Compagnia telefonica: reclamo scritto o tramite Call Center – risarcimento danni e indennizzi
In caso di disservizi alla linea telefonica fissa, fax, mobile (cellulare), POS, internet, oppure di interruzione-guasto o per addebiti in bolletta di servizi non richiesti o per tariffe o costi eccessivi rispetto al piano tariffario, l’utente deve comunicarlo al proprio Operatore telefonico in modo tale che il problema possa essere risolto in tempi brevi. Il reclamo scritto può essere avanzato al Customer Care (Servizio Clienti) a mezzo posta ordinaria (preferibilmente a mezzo lettera raccomandata a.r. in modo da avere la certezza dell’effettiva ricezione), posta elettronica certificata (pec) e fax oppure vocalmente tramite telefono al Call Center. I recapiti sono reperibili nel Carta dei servizi, nelle bollette oppure sul sito internet del Gestore telefonico.
Reclamo scritto o reclamo vocale
L’invio del reclamo scritto, con le modalità sopra indicate, permette all’utente di conoscere quando è arrivata la segnalazione all’Operatore, oltre ad acquisire la prova sul contenuto della stessa. In caso di reclamo vocale, l’utente dovrà annotarsi il codice identificativo della segnalazione (alcuni Operatori lo chiamano Trouble Ticket) chiedendolo direttamente all’operatore del Call Center al momento dell’apertura della segnalazione. Avere il codice identificativo agevolerà l’utente in fase di richiesta aggiornamenti in quanto l’Operatore potrà immediatamente ed esattamente individuare la problematica e l’eventuale gestione per porre rimedio alla problematica.
L’operatore entro quanto tempo deve rispondere al reclamo
Il Gestore telefonico, ricevuto il reclamo, deve mettere in atto una vera e propria procedura volta alla risoluzione del problema che non può andare oltre i 45 giorni dalla data di ricevimento del reclamo (in questi casi, il termine per l’evasione di una pratica può essere anche inferiore a seconda delle condizioni generali di contratto dei vari operatori) e deve essere comunicato al cliente il risultato finale.
Modalità di risposta del Gestore telefonico
La comunicazione da parte del Gestore, in caso di soluzione del problema, non ha bisogno di formalità e può essere comunicata anche telefonicamente mentre in caso di non accoglimento del reclamo, il gestore deve rispondere all’utente in forma scritta specificando le motivazioni per cui non è stato possibile accogliere il reclamo, indicando le operazioni o le indagini svolte per verificare l’esistenza della problematica. Nell’ipotesi in cui il reclamo non abbia portato alla risoluzione del problema o se la soluzione offerta dal gestore telefonico non risulti esauriente, o in assenza di comunicazione l’utente potrà rivolgersi al CoReCom per procedere al tentativo di conciliazione.
Telefono fisso, mobile-cellulare, fax, POS, internet e disservizi, guasti, interruzioni di linea, addebiti di costi in bolletta con la Compagnia telefonica I risarcimento danni e indennizzi
Il passaggio di numero di telefono tra compagnie telefoniche che può diventare interminabile, i guasti al telefono che impediscono di effettuare e ricevere chiamate per intere giornate, l’assenza del segnale internet o del fax che blocca l’attività commerciale, l’interruzione della linea del POS che rende impossibile i pagamenti con le carte di credito, il costo esagerato della bolletta rispetto al piano tariffario scelto, i servizi a sovrapprezzo conteggiati sul cellulare o sul tablet mai attivati, sono uno dei tanti problemi che possono risolversi attraverso il tentativo di conciliazione al CoReCom (Co.Re.Com: Comitato regionale per le comunicazioni).
Cosa fare prima del CoReCom
L’utente – sia privato consumatore e sia professionista o società – deve preventivamente effettuare una segnalazione al proprio Operatore telefonico che dovrà mettere in atto tutte le misure necessarie per risolvere il disservizio. Nell’ipotesi che la situazione non si risolva, potrà agire presso il Comitato regionale per le comunicazioni (CoReCom) competente per territorio. In generale, tutti gli utenti delle principali compagnie telefoniche come Telecom Italia, Tim, Daily Telecom, Fastweb, Eutelia, BT Italia, Coop Voce, Ehiweb, Eolo, Erg Mobile, Messagenet, OK Com, Iliad, Poste Mobile, Ringo Mobile, Satcom, Tiscali e Wind Tre possono richiedere la tutela dei propri diritti.
Separazione e divorzio quando il coniuge (marito moglie) è irreperibile
Il coniuge può ottenere la separazione o il divorzio anche se il marito, o la moglie, è irreperibile. Succede più spesso di quanto si possa immaginare, soprattutto quando i coniugi non hanno figli, e da anni non hanno più contatto tra loro, che uno dei due si rivolga all’avvocato specializzato in diritto di famiglia dicendo: “vorrei separarmi (o divorziarmi) ma non so più dove abita mia moglie (o mio marito), ho anche provato a chiedere un certificato di residenza al Comune ma risulta irreperibile, e ora come faccio?”. Può, infatti, succedere che il coniuge non sia più rintracciabile al Comune dell’ultima residenza conosciuta perché, ad esempio, ha lasciato la casa familiare senza comunicare il nuovo indirizzo oppure non è stato trovato durante l’ultimo censimento o, ancora, è un italiano che si è trasferito all’estero senza iscriversi all’AIRE (Anagrafe italiani residenti all’estero) e neppure ha comunicato alcunché al Consolato italiano o – ed è il caso più ricorrente – è un cittadino straniero che ha lasciato l’Italia senza più dare alcuna notizia di sé.
In questi casi di irreperibilità è, comunque, sempre possibile ottenere la separazione (o il divorzio). Sarà tuttavia necessario iniziare un procedimento contenzioso. La separazione e il divorzio possono essere più veloci: in Tribunale la separazione e il divorzio si possono chiedere insieme, con un unico atto, con l’assistenza di un avvocato, preferibilmente un avvocato divorzista. Non c’è più bisogno di fare prima un ricorso per chiedere la separazione, e poi un secondo ricorso separato per domandare il divorzio: per avere direttamente il divorzio immediato basterà fare una domanda cumulativa.
La separazione non viene cancellata, ci sarà sempre: non si tratta quindi di un “divorzio senza separazione”, ma ora i tempi per ottenere prima la separazione e poi il divorzio breve si sono velocizzati. L’avvocato quindi depositerà per il proprio cliente un ricorso in Tribunale ed entro 3 giorni il Tribunale fisserà – con decreto – la prima udienza. L’udienza è fissata in tempi brevi, ossia entro 90 giorni dal deposito del ricorso.
Il ricorso ed il provvedimento di fissazione dell’udienza, dovranno essere notificati, secondo una specifica procedura, all’altro coniuge.
Non è invece possibile iniziare una separazione (o un divorzio) consensuale per il semplice fatto che all’altro coniuge non si potrebbe far sottoscrivere il ricorso di separazione (o di divorzio) in quanto è, appunto, irrintracciabile. Tuttavia, se – a seguito della notifica – anche l’altro coniuge dovesse comparire dinanzi al Tribunale, sarà possibile trasformare il procedimento da contenzioso a consensuale, a patto – ovviamente – che i coniugi trovino un accordo sulle condizioni.
Quando il coniuge è irreperibile bisognerà quindi chiedere l’assistenza di un avvocato perché deve provvedere ad effettuare la notifica dell’atto giudiziario con un’apposita procedura prevista dal Codice di Procedura Civile, solitamente presso l’ultima residenza nota, ma potrebbero essere necessari anche altri ulteriori accorgimenti.
All’udienza, qualora il Giudice dovesse ritenere che la notifica si sia perfezionala, e che quindi si sia instaurato il contraddittorio, dichiarerà la contumacia dell’altro coniuge. In sostanza, anche se l’atto giudiziario non sia stato effettivamente ricevuto, o ritirato, dal destinatario (quindi dall’altro coniuge), il Giudice riterrà la notifica come se fosse avvenuta e, quindi, riterrà l’atto come se fosse stato ricevuto. Tutto questo a condizione però che siano state rispettate, nella notifica, alcune regole di procedura civile a garanzia e a tutela del destinatario. Il Giudice a questo punto dichiarerà l’altro coniuge contumace, ossia lo considererà come se fosse presente in causa, e continuerà il processo civile fino ad arrivare alla sentenza.
L’assenza dell’altro coniuge – il quale tendenzialmente avrebbe potuto sia opporsi alle domande e sia proporne altre – rende generalmente la causa un po’ più veloce, potendosi così arrivare alla sentenza di separazione (o di divorzio) in tempi assai rapidi.
Per ottenere il divorzio sarà sufficiente che:
1) ci sia stata la separazione: basta anche semplicemente la sentenza “parziale” di separazione che viene emessa già dopo la prima udienza, senza dover attendere la conclusione della causa
2) siano trascorsi 6 o 12 mesi a seconda che la separazione sia stata pronunciata a seguito di un giudizio consensuale o giudiziale.
La causa di separazione o divorzio giudiziale si introduce sempre con un ricorso ma si arriva dal Giudice alla prima udienza già con tutto in modo che sia più facile (e veloce) decidere. Quindi l’avvocato dovrà subito inserire negli atti, in maniera dettagliata e completa, tutti i fatti più rilevanti e, soprattutto, tutti i mezzi di prova (documenti, ricevute, foto, testimoni ecc.). Considerando che il procedimento si svolgerà in contumacia e, quindi, l’attività istruttoria sarà più breve, sarà possibile ottenere il divorzio più velocemente.
Rivoluzione nelle unioni civili: in Colombia la prima famiglia gay a tre
Nasce la famiglia poliamorosa: tre mariti e una “famiglia”
Proprio quando in Italia si stanno affermando le unioni civili, in Colombia, nella città di Medellin, è stato celebrato un matrimonio gay. Nulla di strano se non fosse che le persone che si sono sposate sono tre e non due.
L’intenzione dei tre uomini era quella di ufficializzare dal punto di vista legale la loro “famiglia”. Così ne è nata una trieja: il termine è stato appena coniato e deriva da pareja che significa coppia.
Questa unione civile è stata definita poliamorosa perché riguarda i sentimenti di tre persone e potrà portare all’apertura di altre “trieje” forse con due uomini e una donna o viceversa.
Quali sono i risvolti della famiglia poliamorosa?
In Italia non esiste alcuna possibilità di formare una “famiglia” di questo tipo ma è interessante capire che cosa possa succedere dal punto di vista legale per i tre partner, ora sposati. Fondamentalmente il matrimonio a tre in Colombia avrà le stesse regole di quello con due persone e pertanto in caso di separazione o di decesso di uno dei tre, gli altri potranno accedere alla pensione o procedere con la separazione dei beni.
I problemi si triplicano
Sarà interessante seguire i risvolti di questa storia e di quelle a venire anche perché ci si chiede cosa possa succedere se un partner sia intenzionato a separarsi solo da uno e non dall’altro amante, oppure se uno dei tre ha un figlio biologico e decide di separarsi, quale sarà il ruolo per gli altri due padri?
Questa notizia apre la strada a svariate forme di “famiglie” legalizzate, ampliando ancora di più il concetto di famiglia.
Come divorziare se non so dove si trova lui: divorzio con coniuge irreperibile
Quando la moglie vuole divorziare ma non sa dove sia il marito, deve procedere con un procedimento di divorzio con coniuge irreperibile.
Capita spesso, infatti, che si perdano le tracce di una persona oppure che l’ex sia uno straniero che lascia il nostro paese senza dare alcuna notizia di sé: in questi casi la moglie può comunque divorziare.
In questi casi, infatti, non è possibile procedere con un divorzio su domanda congiunta perché il coniuge non può accettare alcun accordo essendo irrintracciabile. Laddove il coniuge dovesse comparire dinanzi al Tribunale a causa iniziata, però, si potrà consensualizzare il procedimento, se si riuscirà a trovare un accordo sulle condizioni.
Assistenza legale e durata del procedimento
Premesso che per ottenere lo scioglimento del matrimonio dinanzi al Tribunale è sempre necessario l’intervento di un Avvocato, sia in caso di procedura consensuale che giudiziale, quando il coniuge è irreperibile la parte più delicata del procedimento consiste nella notifica degli atti alla controparte per la quale il legale deve effettuare un’apposita procedura prevista dal Codice di Procedura Civile, solitamente presso l’ultima residenza nota.
Dopo aver effettuato le notifiche nei modi previsti dal Codice la causa potrà continuare con la pronuncia di contumacia del coniuge da parte del Giudice. In sostanza il procedimento giudiziale prosegue in assenza della controparte. In questi casi l’assenza del coniuge impedisce l’instaurazione di un contraddittorio tra le parti e, quindi, rende il procedimento un po’ più veloce anche se la causa deve svolgersi secondo il rito previsto dal Codice e, pertanto, può avere una durata variabile a seconda del numero di processi celebrati in ciascun Tribunale.
Come detto quando il coniuge è irreperibile la parte più delicata del procedimento è quella della notifica. Per questo è necessario rivolgersi ad un legale in grado di effettuare le necessarie ricerche presso le case comunali ma, soprattutto, che conosca bene la disciplina delle varie tipologie di notifiche in special modo nel caso in cui queste si debbano effettuare all’estero dato che, a seconda del paese di destinazione, ci si deve muovere compiendo passaggi differenti, anche presso uffici consolari ed ambasciate.
Qual è la differenza tra separazione legale e separazione di fatto
La separazione è un mezzo per risolvere la crisi coniugale previsto dalla legge italiana. Esiste una differenza sostanziale a seconda che questa sia legale o “di fatto”. In entrambi i casi essa è definibile come un periodo che precede l’eventuale scioglimento del matrimonio, destinato a permettere ai coniugi di “riflettere” sull’opportunità di porre fine al nucleo familiare oppure di ricostruirlo.
Quali sono le caratteristiche della separazione di fatto
La separazione legale è sancita da un provvedimento del Tribunale il quale autorizza i coniugi a vivere separati e regola le loro questioni patrimoniali e personali oltre che gli aspetti relativi ai figli compreso il diritto al mantenimento sia della prole che del coniuge più debole.
La separazione di fatto, invece, è una condizione scelta dai coniugi che decidono concordemente di terminare la convivenza matrimoniale, in genere prevedendo il trasferimento di uno dei due in un’abitazione diversa da quella familiare, senza ottenere alcuna autorizzazione dal Tribunale.
Non essendo prevista alcuna ratificazione le parti non sono obbligate a giungere ad una regolamentazione vincolante e formale dei rapporti economici e privati, neppure in relazione alla vita genitoriale ed al mantenimento dei figli.
Questa soluzione potrebbe essere considerata allettante per mettere fine alla convivenza senza dover affrontare onerose spese giudiziarie soprattutto nel caso in cui entrambi i coniugi sono economicamente autonomi e non avanzano pretese economiche né vi siano controversie sull’attribuzione di beni comuni.
I contro della separazione di fatto
La separazione di fatto rimane priva di qualsivoglia controllo di legittimità e giustizia, di conseguenza è preferibile non percorrere tale strada soprattutto se si hanno figli minori o questioni patrimoniali particolarmente complicate da definire. Sarebbe sempre auspicabile, infatti, ricorrere ad una soluzione che permetta di vedere tutelati i propri diritti di coniuge ed i diritti della prole possibilmente con un ausilio legale ai fini della composizione delle controversie relative alle questioni economiche.
Un’ulteriore differenza essenziale tra le due tipologie di separazione consiste nel fatto che quella legale può fungere da causa per ottenere lo scioglimento del matrimonio mentre la separazione di fatto no (con l’unica eccezione delle separazioni di fatto iniziate due anni prima il dicembre 1970, anno dell’approvazione della legge sul divorzio).
Matrimonio concordatario: motivi e competenza per l’annullamento in Italia
Il matrimonio concordatario è efficace sia nei confronti del diritto canonico, sia di quello italiano perché viene trascritto dei registri dello Stato civile. In Italia nel caso in cui marito e moglie vogliano chiedere l’annullamento potrebbe esserci un dubbio sui motivi e sulla competenza del Tribunale civile italiano oppure di quello ecclesiastico.
Pensiamo ad una coppia di sposini in cui la moglie dovesse scoprire che il marito le ha raccontato molte bugie sulla sua vita con lo scopo di sposarla. Lei si sentirebbe tradita e cercherebbe di porre fine a quella che giudica una farsa.
L’impotenza, l’incapacità, l’errore sulla persona o sulle sue qualità, l’inganno per estorcere il consenso a sposarsi, sono solo alcuni dei motivi che permettono di chiedere l’annullamento del matrimonio. Fino al 1984 esisteva una “riserva della giurisdizione ecclesiastica”, che stabiliva l’esclusiva competenza della Chiesa sul giudizio relativo alla nullità del matrimonio. Oggi invece sia la giurisdizione italiana sia quella ecclesiastica hanno competenza per decidere in merito all’annullamento del matrimonio concordatario. Il criterio con cui è regolata questa sovrapposizione di competenze è quello della “prevenzione”: nel momento in cui ci si è rivolti a uno dei due Tribunali, quello prescelto per primo potrà decidere in merito all’annullamento.
La procedura di delibazione
Se a decidere in merito all’annullamento del matrimonio è il Tribunale ecclesiastico, la sentenza con cui questo proclama la nullità del matrimonio deve poi passare al controllo della Corte d’Appello competente per territorio, che verifica l’assenza di elementi di incompatibilità con il diritto italiano (è il cosiddetto giudizio di delibazione) e la dichiara esecutiva, cioè efficace anche nell’ordinamento italiano. Perché questo possa avvenire, la sentenza del Tribunale ecclesiastico deve essere passata in giudicato con decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
In caso venissimo presi in giro dalla moglie o dal marito oppure scoprissimo suoi aspetti nascosti ed ingannevoli tali da farci desiderare di cancellare per sempre il matrimonio, esiste la possibilità di rivolgersi indifferentemente al Tribunale civile o cattolico, quindi, ma attenzione perché sussiste una disputa sul diritto applicabile da parte del Tribunale civile se quello italiano oppure il diritto ecclesiastico, con una propensione, da parte degli interpreti, per il secondo.
Diritti coppie gay e unioni civili: il TFR del lavoratore spetta anche all’ex partner
La celebrazione dell’unione civile ha introdotto numerosi diritti per le coppie gay anche nel momento dello scioglimento del rapporto. Tali tutele, anche economiche, sono del tutto simili a quelle concesse in caso di divorzio, come quella relativa al TFR.
Una delle norme a tutela dell’ex coniuge prevede che il 40% del trattamento di fine rapporto del lavoratore, maturato durante il matrimonio, spetti al coniuge divorziato. La Legge Cirinnà ha previsto che tale regola valga anche nel caso in cui una coppia omosessuale celebri l’unione civile.
Quando è possibile ottenere il TFR
Affinché il giudice riconosca una quota di TFR è necessario che l’ex partner non abbia contratto una nuova unione civile, sia titolare di un assegno di mantenimento periodico e che la riscossione del trattamento sia effettuata dopo la domanda di scioglimento dell’unione.
Poniamo il caso, quindi, che tra due donne che si uniscono civilmente, una, manager di un’importante azienda, faccia parte di una famiglia molto abbiente e l’altra sia una lavoratrice part-time precaria. Durante il legame di coppia, ovviamente, anche lo stile di vita della seconda ha subito un notevole miglioramento grazie a frequenti uscite, viaggi, regali ed ampie disponibilità di denaro che con il suo lavoro precario non si sarebbe potuta permettere. Nel caso in cui le due dovessero lasciarsi la lavoratrice part-time potrà ottenere il riconoscimento di un assegno dimostrando di essere impossibilitata a procurarsi i mezzi adeguati al suo sostentamento dato che il suo impiego le consente di soddisfare solo in parte i suoi bisogni primari.
Ottenendo tale assegno la lavoratrice avrebbe la sicurezza di poter attingere al TFR dell’ex partner una volta riscosso nella misura del 40% della somma accantonata durante l’unione.
Come possiamo immaginare questa regolamentazione ha comportato un importante passo avanti a protezione dei soggetti legati da un rapporto omosessuale rispetto al passato. Pensiamo, infatti, a quanti, magari senza lavoro né prospettive di mantenimento, possono trovare il supporto economico necessario anche in caso di rottura del legame d’amore.
I diritti dei legittimari in caso di unione civile
La regolamentazione dell’unione civile ha introdotto la figura dei legittimari e dei loro diritti anche nelle famiglie omosessuali. Eredità e testamenti, prima della Legge Cirinnà, comportavano per le coppie gay percorsi tortuosi ed incognite dato che molto spesso le famiglie del defunto potevano impugnare i lasciti al partner impedendogli di ereditare.
Anche la parte unita civilmente fa parte dei legittimari
Nel nostro paese non esiste una totale libertà di disporre dei propri beni quando si fa testamento perché una quota di patrimonio deve essere riservata ai familiari più prossimi, c.d. legittimari, che nel caso in cui si vedano destinare una percentuale inferiore di quanto previsto per loro dalla Legge, hanno il diritto di ricorrere al Giudice per fare in modo di essere reintegrati.
Tra i familiari prossimi che sono identificati come legittimari è stata inserita anche la parte unita civilmente la quale viene parificata al coniuge e si affianca ai figli ed ai genitori. Attenzione, quindi, perché il riconoscimento legale della coppia omosessuale non comporta la possibilità di destinare tutti i propri beni al partner unito civilmente.
Proviamo a pensare ad un padre che perde la vita lasciando un testamento con il quale destina tutto il suo denaro e gli immobili di proprietà al compagno, con il quale poco prima di morire aveva celebrato l’unione civile. Il figlio, dispiaciuto per la scelta del padre, è deluso del fatto che il genitore non gli abbia lasciato in eredità una mansarda di design, situata nel pieno centro città, e vorrebbe a tutti i costi intervenire per appropriarsi della casa togliendola al partner superstite.
La reintegrazione della quota riservata ai legittimari
Il figlio avrebbe ben ragione di sentire violati i suoi diritti e quindi avrebbe diritto ad ottenere la propria parte di eredità ma non di scegliere quali beni ereditare.
In particolar modo il Codice Civile prevede che nel caso in cui una persona muoia lasciando un coniuge, oggi anche la parte unita civilmente, ed un figlio a ciascuno sia riservato come minimo un terzo del patrimonio. Nel caso in cui il padre non abbia indicato nessun bene o importo da far ereditare al figlio, quindi, quest’ultimo ha il diritto di ricorrere in Tribunale per ottenere un terzo di quanto posseduto in vita dal genitore.
Questa azione che ha lo scopo di reintegrare la quota riservata ai legittimari per legge, ha natura quantitativa e non qualitativa: il figlio, cioè, non potrà chiedere al Giudice che gli venga attribuita proprio la mansarda desiderata ma soltanto di ricevere un terzo del valore dei beni del padre. Quali e quanti beni siano ricompresi in questa percentuale potrà essere oggetto di trattativa con il partner individuato come erede dal testamento, oppure lasciato alla decisione del Giudice. Per fare un esempio concreto se tutto il patrimonio del defunto, sommando denaro e beni immobili, fosse pari ad un milione di Euro il figlio potrebbe ricevere circa trecentomila Euro ma non la mansarda dei suoi sogni.
Possiamo dire, in conclusione, che il riconoscimento delle coppie omosessuali ha parificato in tutto e per tutto i partners ai coniugi per quello che riguarda l’ambito successorio. Inutile dire quanto può essere importante per la parte della coppia che rimane in vita sapere di avere una quota “minima” di eredità non toccabile. Tuttavia è bene precisare che l’equiparazione vale anche per i limiti che devono essere rispettati quando si decidono le ultime volontà che, come abbiamo visto, impediscono di estromettere gli altri eredi.
Possibili aiuti statali in caso di genitori in difficoltà non solo economica
Essere genitori significa poter attraversare un momento di difficoltà, non solo economica, ed avere problemi nell’educazione dei propri figli. In questi casi è possibile ottenere appositi aiuti statali che permettono al genitore di superare la problematica e dimostrare la propria capacità genitoriale.
Prendiamo l’esempio di una madre single con due bimbi piccoli da crescere ha recentemente perso il lavoro e non è più in grado di pagare l’affitto della casa in cui vive con i figli. La maestra di uno dei bambini ha allertato gli assistenti sociali, e la madre teme che i figli le possano essere tolti.
Questa può essere una paura legittima quando ci si sente accerchiati e privi di possibilità. Quello che dobbiamo tenere presente, però, è che la normativa che protegge i minori, e regolamenta le procedure di adozione, ha il primario obiettivo di tutelare i bambini e di salvaguardare il loro benessere e la loro integrità psicofisica. Se questo, a volte, implica il dover allontanare il minore dalla famiglia, è importante sottolineare che i Tribunali decidono in tal senso solo nel caso in cui siano del tutto convinti, ed abbiano prove concrete, che la famiglia biologica non sia in grado di prendersi cura al meglio del bambino. In caso di difficoltà i genitori dovrebbero attivarsi per primi per chiedere sovvenzioni o aiuti allo Stato, dimostrando così di reagire ai problemi e di essere in grado di crescere ed educare al meglio i propri figli, senza aspettare passivamente l’intervento di terzi.
Gli interventi a sostegno della famiglia
Le condizioni di indigenza della madre non sono ritenute sufficienti a privare i figli minorenni del diritto alla loro famiglia. Proprio per dare supporto, anche preventivo, ai genitori esisto enti in grado di fornire aiuti sia economici sia psicologici alle famiglie in stato di difficoltà. Lo Stato e le Regioni, ad esempio, corrispondono assegni periodici alle famiglie bisognose, mentre i comuni gestiscono l’assegnazione di case popolari a coloro che ne fanno richiesta, in base alla graduatoria delle domande che è agevolata in caso di presenza di uno o più figli piccoli. Infine, molto spesso lo Stato garantisce anche incentivi alle imprese che decidono di assumere genitori con figli minori a carico.
L’impegno della famiglia è fondamentale per dimostrare la capacità genitoriale
I genitori che si trovano in difficoltà devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per porre rimedio alle difficoltà che stanno affrontando: la madre potrebbe iscriversi ai centri per l’impiego, presentare domanda per un alloggio popolare o rivolgersi ai professionisti messi a disposizione dalle istituzioni per ricevere supporto economico o psicologico. In questo modo gli assistenti sociali potrebbero capire che la madre ha il controllo di sé e dei figli e sta cercando di fare il possibile per superare la situazione di difficoltà e procederanno con un intervento di supporto ed assistenza, che sia conservativo del rapporto madre-figlio, senza drastici allontanamenti.
Matrimonio islamico: natura e celebrazione
La natura e la celebrazione del matrimonio islamico sono molto diverse rispetto al matrimonio concordatario assai frequente in Italia.
In una società multietnica e composita come quella che caratterizza il mondo di oggi, molto spesso può capitare che vi sia la necessità di conciliare credenze religiose e leggi di Paesi molto diversi fra loro, come ad esempio nel caso di matrimoni fra persone di diversa nazionalità e religione. Immaginiamo, ad esempio, il caso in cui si debba celebrare un matrimonio islamico, ci troveremo di fronte un rito molto diverso da quello cattolico, che normalmente siamo abituati a vedere.
Il matrimonio islamico non è un atto religioso
Diciamo subito che nell’Islam, il matrimonio è considerato un contratto di natura privatistica fra un uomo e una donna, che è solo basato su precetti religiosi: benché infatti non si celebri in un luogo di culto e non vi sia la presenza di ministri religiosi, il Corano e la Summa esortano i credenti a sposarsi. Siamo, dunque, in presenza di un istituto particolare, che anche se non considerato un atto religioso come per i cattolici, trova il suo fondamento nei testi sacri islamici.
Gli elementi essenziali del matrimonio islamico
Nel matrimonio islamico sono previsti alcuni elementi essenziali. Il futuro sposo deve chiedere la mano della sposa al suo curatore matrimoniale, il wali, che solitamente è il parente maschio più prossimo. Per essere valido devono essere verificati: la capacità e il consenso delle parti, la forma o l’espressione del consenso. Per quanto riguarda la capacità delle parti, il futuro sposo è considerato capace di contrarre matrimonio se sano di mente e abile a consumare il matrimonio. Anche per la futura sposa valgono gli stessi requisiti ma è necessario che sia musulmana oppure cristiana o ebrea.
Il perfezionamento del matrimonio e i suoi impedimenti
Il matrimonio islamico si perfeziona con l’espressione del consenso: il wali deve recitare precise formule. Per esempio se è il padre della sposa dovrà dire “io ho dato mia figlia in matrimonio”, mentre lo sposo deve semplicemente dichiarare di accettare di ricevere la sposa. Lo scambio dei consensi deve avvenire in forma pubblica, alla presenza di due testimoni maschi, puberi e liberi. Anche il matrimonio islamico prevede degli impedimenti, tra questi alcuni sono simili a quelli previsti dal nostro ordinamento civile, come l’impossibilità di sposarsi per i parenti consanguinei o acquisiti, altri sono più curiosi. E’ impedito, per esempio, il matrimonio tra chi è stato allattato dalla stessa nutrice, o balia, perché, secondo la tradizione musulmana, tra i due si instaura una parentela “di latte”; anche un precedente matrimonio per la sposa sarebbe di ostacolo mentre, essendo ammessa la poligamia, un uomo non solo potrebbe sposarsi se già sposato, ma potrebbe avere fino a 4 mogli contemporaneamente!
Fecondazione Assistita differenze dopo la diagnosi preimpianto
La diagnosi preimpianto ha introdotto alcune importanti differenze nelle procedure di fecondazione assistita soprattutto per quelle coppie portatrici di malattie genetiche o malattie rare.
Per alcune coppie cercare di avere un figlio si può rivelare una strada in salita. Le cause di sterilità sono molteplici e, secondo svariati studi scientifici, sono statisticamente in aumento nella civiltà occidentale. Se le cure mediche risultano infruttuose l’ultima speranza per coronare il desiderio di maternità può risultare la fecondazione assistita. Esistono, purtroppo, coppie affette da infertilità totale, che non possono procreare con i propri gameti (cellule sessuali) neppure grazie all’intervento sanitario. Altre ancora che temono di trasmettere al feto gravi malattie genetiche di cui sono portatori.
Il diritto a procreare
Proprio per tutelare il “diritto a procreare” di queste coppie, negli ultimi anni sono state modificate varie volte le leggi in vigore che prima erano altamente limitative nell’utilizzo di rimedi scientifici per gli affetti da grave sterilità.
Il divieto più importante che è stato abbattuto è quello relativo fecondazione eterologa, che prevede l’utilizzo di gameti di donatori estranei alla coppia che accede all’iter. Successivamente la Corte Costituzionale ha fatto cadere il divieto che impediva alle coppie, con gravi patologie genetiche trasmissibili al nascituro, l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita con diagnosi preimpianto.
Prima della sentenza n. 96/2015 queste coppie potevano iniziare l’iter di fecondazione assistita ma i medici non potevano svolgere esami strumentali sui singoli embrioni per scoprire l’esistenza di gravi malattie geneticamente trasmissibili così da far scegliere alla coppia di non provvedere all’impianto. In tal modo gli aspiranti genitori, già angosciati al pensiero di poter trasmettere una gravissima malattia al proprio figlio, erano costretti ad attendere svariati mesi per sottoporre il feto agli esami prenatali necessari, e spesso molto invasivi (amniocentesi, villocentesi ecc.), trovandosi a sopportare, in casi negativi, il trauma di un’interruzione di gravidanza.
Con la diagnosi preimpianto almeno questo step logorante potrà essere eliminato.
Cosa cambia con la diagnosi preimpianto
I medici, grazie alla diagnosi preimpianto potranno esaminare il patrimonio genetico dell’embrione prima della fecondazione evitando di prolungare le lungaggini, le attese e le paure con le quali si era costretti a convivere fino all’esito degli esami clinici sul feto. Ovviamente la possibilità di accesso alla diagnosi preimpianto sarà concessa solo alle coppie portatrici – in modo accertato – di gravissime patologie geneticamente trasmissibili. La verifica dovrà essere svolta da strutture sanitarie certificate e sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni per l’individuazione delle malattie che verranno considerate idonee a consentire l’accesso al protocollo.
Sarebbe ottimale, infine, inserire l’obbligo di accertamento a carico del servizio pubblico in modo da evitare disparità economiche tra le coppie più o meno abbienti.