NEL PROCESSO DEL LAVORO LA MANCATA CONTESTAZIONE DEI FATTI ESCLUDE LA NECESSITÀ DI INDAGINI ISTRUTTORIE
Per necessità di concentrazione ed efficienza processuale (Cassazione Sezione Lavoro n. 5526 del 17 aprile 2002, Pres. Sciarelli, Rel. De Matteis).
Nel processo del lavoro il legislatore ha attribuito un particolare valore al principio di “non contestazione”. Fondamento essenziale della disciplina di tale processo è che l’attore avanzi tutte le proprie pretese ed esponga i relativi fatti costitutivi nel ricorso introduttivo del giudizio, e che il convenuto proponga tutte le eccezioni in diritto e le contestazioni in fatto nell’atto di costituzione. Il legislatore del 1973, sulla base delle esperienze di numerosi Paesi europei, ha rinvigorito il principio di non contestazione, già conosciuto, enunciato ed applicato in diverse ipotesi dal nostro ordinamento (artt. 14 3° co., 35, 316 3° co., 186bis e 423, 512 co. 2, 597 e 598, 541 e 542, 785, 789, 548, 663 c.p.c.; artt. 2712 e 2734 cod. civ.) e lo ha impiegato al fine di ridurre la quantità di prova necessaria per i fatti costitutivi, e per tale via aumentare la concentrazione ed efficienza processuale, escludendo così la possibilità generalizzata di una contestazione tardiva di essi, con il che si riaprirebbe in ogni tempo la necessità di una istruttoria, la quale deve invece essere definita (artt. 414 n. 5, 416 3° comma, 420 5° comma c.p.c.) nella fase iniziale del giudizio.
In applicazione di tale principio di concentrazione processuale, da applicare in egual misura all’attore e al convenuto, non è possibile allegare, contestare o richiedere prova su fatti non allegati, oltre i termini preclusivi stabiliti dal c.p.c.
Tale orientamento è stato confermato dalla recente pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite, che ha precisato che l’art. 416 3° comma c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti costitutivi, fa della non contestazione un comportamento rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio. La mancata contestazione rappresenta, in positivo e di per sé, l’adozione di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto, sicché si deve ritenere superata, ai fini dell’identificazione dei fatti pacifici, la tradizionale differenza fra ammissione implicita e non contestazione, di cui al precedente orientamento.
La funzione della non contestazione ai fini della determinazione dell’oggetto della controversia, e la necessaria correlazione tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova, comporta che la decadenza per l’indicazione dei mezzi di prova, espressamente comminata dall’art. 416, 3° comma, implichi altresì preclusione per i primi, alla cui dimostrazione i secondi sono finalizzati. La tendenziale irreversibilità della non contestazione risulta comunque dalla struttura complessiva del processo.
Quando poi la domanda giudiziale è integrata da conteggi, contenuti nello stesso contesto o in allegato unito al ricorso, occorre distinguere la componente fattuale di tali conteggi, che soggiace agli oneri di contestazione sopra riassunti, da quella giuridica o normativa, che ne è esente.
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