L’AVVOCATO NON PUO’ TRATTENERE LE SOMME RISCOSSE PER CONTO DEL CLIENTE NE’ RICORRERE AD UNA COMPENSAZIONE CON I PROPRI ONORARI
Comportamento vietato dal codice deontologico (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 1149 del 29 gennaio 2002, Pres. Amirante, Rel. Preden).
L’avvocato Giorgio C. è stato sottoposto a procedimento disciplinare dal Consiglio dell’Ordine di Roma con l’addebito di avere trattenuto per circa due anni una somma da lui riscossa per conto di un cliente e di avere, quando era stato sollecitato a versarla, emesso una fattura di importo corrispondente per prestazioni professionali, facendo valere il suo credito in compensazione. Il Consiglio ha accertato il fatto ed ha applicato la sanzione della sospensione, rilevando che, ai sensi degli artt. 41 e 44 del codice deontologico, commette infrazione disciplinare l’avvocato che trattenga oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto del cliente, ovvero compensi somme ricevute in deposito con proprie pretese senza il consenso del cliente. Questa decisione è stata confermata dal Consiglio Nazionale Forense. Il professionista ha proposto ricorso davanti alle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte per difetto di motivazione e violazione di legge.
La Corte (Sezioni Unite Civili n. 1149 del 29 gennaio 2002, Pres. Amirante, Rel. Preden) ha rigettato il ricorso, in quanto ha ritenuto che il Consiglio Nazionale abbia adeguatamente motivato la sua decisione, accertando la mancanza di autorizzazione del cliente a trattenere le somme incassate.
Le decisioni del Consiglio nazionale forense, ricorribili per cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge – ha rilevato la Corte – sono suscettibili di sindacato in base all’art. 111 Cost. soltanto in quanto la motivazione manchi affatto o non si presenti logicamente ricostruibile o sia priva di congruenza logica rispetto ai fatti accertati dal giudice, quali risultano dalla decisione impugnata.
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