IL FONDO DI GARANZIA GESTITO DALL’INPS DEVE CORRISPONDERE AL LAVORATORE EX DIPENDENTE DI UN’AZIENDA FALLITA, OLTRE AL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO, GLI INTERESSI E LA RIVALUTAZIONE MONETARIA
Non si tratta di una prestazione previdenziale (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 14220 del 3 ottobre 2002, Pres. Carbone, Rel. Ravagnani).
Il pagamento da parte dell’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia previsto dalla L. n. 297 del 1982, del trattamento di fine rapporto dovuto al lavoratore ex dipendente di azienda fallita, non costituisce una prestazione previdenziale. Pertanto al lavoratore debbono essere corrisposti anche, cumulativamente, gli interessi di legge e la rivalutazione monetaria maturati sull’importo dovuto dall’ente.
Il primo comma dell’art. 2, legge n. 297 del 1982, stabilisce che il Fondo “si sostituisce” al datore di lavoro nel pagamento della somma dovuta (e non che “garantisce” tale pagamento) e contiene dunque un precetto che induce a ritenere costituito dallo stesso legislatore (in termini più descrittivi che tecnicamente corretti, a fronte della mancanza di un contratto tra debitore e terzo) un accollo cumulativo ex lege e non una fideiussione. Il Fondo subentra dunque nella stessa posizione del datore di lavoro ed è tenuto a pagare il medesimo debito (retributivo) di quest’ultimo, comprensivo della somma capitale e, a norma del secondo comma, “dei relativi crediti accessori”.
Poiché il credito inerente al trattamento di fine rapporto e agli accessori ha natura retributiva e non sussistono ragioni normative o logico-giuridiche perché tale natura debba venir meno per effetto dell’avvenuto accollo, qualificabile, alla stregua della lettera del citato art. 2, come cumulativo e non privativo o liberatorio o novativo, si deve pertanto ritenere che, a norma dell’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., il Fondo sia tenuto a corrispondere gli interessi nella misura legale ed il risarcimento del maggior danno (senza necessità che il lavoratore assolva l’onere di allegazione e di prova in base all’art. 1224, secondo comma, cod. civ.) con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto e fino al giorno dell’effettivo pagamento.
D’altra parte, la prestazione a carico del Fondo non si determina in relazione al diritto maturato e riconosciuto nel passivo fallimentare come se il Fondo, nel pagamento del trattamento di fine rapporto, si sostituisse al fallimento. Invero, come è espressamente stabilito dal citato articolo 2, primo comma (e come pure si ricava dalla formulazione del quinto comma per il caso che il datore di lavoro non sia stato sottoposto a un procedimento concorsuale) il legislatore ha disposto la sostituzione del Fondo al datore di lavoro e non già al fallimento, con la conseguenza che il Fondo è tenuto a corrispondere il medesimo debito che grava sul datore di lavoro nel suo intero ammontare, comprendente la somma capitale e gli accessori.
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