IL CITTADINO PUÒ CHIEDERE ALLO STATO IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER RESPONSABILITÀ DEL MAGISTRATO IN CASO DI GRAVI VIOLAZIONI DI LEGGE DETERMINATE DA ERRORI MACROSCOPICI E DA NEGLIGENZE ASSOLUTAMENTE INGIUSTIFICABILI
Quando cioè vi sia una manipolazione arbitraria del testo legislativo e si sconfini nel diritto libero (Cassazione Sezione Prima Civile n. 11880 del 20 settembre 2001, Pres. Greco, Rel. Luccioli).
In base alla legge 13 aprile 1988 n. 117 chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un provvedimento giudiziario può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni, in caso di colpa grave del magistrato. La legge precisa che, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
Costituiscono, per la legge, colpa grave del magistrato:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Quanto alla fattispecie di cui alla lettera a) può osservarsi che l’espresso richiamo alla “negligenza inescusabile” nella commissione della grave violazione di legge postula una totale mancanza di attenzione nell’ uso degli strumenti normativi, una trascuratezza così marcata da non poter trovare alcuna plausibile giustificazione e da apparire espressione di assoluta incuria e mancanza di professionalità. Per ciò che concerne le ipotesi di cui alle lett. b) e c) il dato testuale, richiedendo che il fatto risulti o sia escluso “incontrastabilmente” dagli atti del procedimento e che l’errore sia determinato, ancora una volta, da “negligenza inescusabile”, manifesta l’intenzione del legislatore di riferirsi all’ errore macroscopico, commesso in un contesto di piena evidenza ed immediata rilevabilità del fatto o della sua negazione dagli atti del processo, reso possibile da una tale disattenzione nella lettura delle emergenze processuali tali da apparire oggettivamente inescusabile. Il giudice non risponde degli errori di diritto determinati da un’erronea scelta interpretativa: la “grave violazione di legge” viene a sostanziarsi nella violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma , ovvero – secondo una tipologia elaborata dalla dottrina – nella interpretazione del suo significato in termini contrastanti con ogni criterio logico, nell’ adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, nella manipolazione arbitraria del testo normativo, nello sconfinamento nel diritto libero, mentre resta nell’area di esenzione da responsabilità la lettura della legge secondo uno dei significati possibili, sia pure il meno probabile e convincente, quando dell’opzione interpretativa seguita si dia conto e ragione nella motivazione.
Sulla base di tali principi è possibile quindi ravvisare il discrimine tra attività interpretativa tutelata e colpa grave, ritenendo fonte di responsabilità quei comportamenti, atti e provvedimenti che non possono considerarsi manifestazioni di discrezionalità interpretativa esplicata all’interno della dialettica processuale, ma appaiono determinati da una inescusabile e macroscopica negligenza del magistrato nella lettura del complesso normativo. Ciò vale anche a dire che può parlarsi di negligenza inescusabile non sulla base della mera non conformità della decisione a diritto, ma in quanto, tenuto conto delle ragioni con le quali il giudice abbia motivato detta decisione, essa non trovi alcun aggancio nell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale né abbia, in mancanza di detti referenti, una qualsiasi plausibile giustificazione sul piano logico.
Conseguentemente non può ravvisarsi un errore rilevante ai sensi delle lett. b) e c) ove il giudice abbia ritenuto una determinata situazione di fatto senza elementi pertinenti, ovvero sulla scorta di elementi insufficienti, che però abbiano formato oggetto di esame e valutazione, trattandosi in tal caso di errato apprezzamento dei dati acquisiti; né può qualificarsi come rilevante l’errore riscontrato a posteriori dal giudice dell’impugnazione sulla base del controllo esercitato sull’attività accertativa e valutativa.
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