Divorzio consensuale – divorzio congiunto: quanto dura e come si svolge
Avvocato Divorzista | Studio Legale Marzorati
Divorzio consensuale – divorzio congiunto
Divorzio consensuale o divorzio congiunto – La Guida al “divorzio breve”
Divorzio congiunto consensuale – Indice
- Divorzio congiunto consensuale
- Su cosa ci si deve accordare
- Procedura in Tribunale
- Documenti per il divorzio congiunto
- Ricorso da depositare in Tribunale
- Fissazione della prima udienza
- Se si cambia idea?
- L’udienza di trattazione
- Divorzio in Comune, l’alternativa
- Le condizioni del divorzio consensuale
- Affidamento dei figli
- Assegnazione della casa
- Assegno di mantenimento per figli e moglie
- Assegno una tantum
- Sentenza di divorzio consensuale
- Modifica condizioni di divorzio
Divorzio congiunto (consensuale)
Il divorzio consensuale o congiunto permette ai coniugi (marito e moglie) che hanno trovato un accordo di divorziarsi in tempi rapidi.
Il divorzio congiunto (o divorzio consensuale) è un divorzio breve. Si chiama divorzio “breve” perché dopo 6 mesi dall’udienza di “separazione consensuale” è già possibile ottenere il divorzio (se, invece, la separazione è stata dichiarata con una causa, bisogna aspettare 1 anno dall’udienza di “separazione giudiziale”).
Il divorzio consensuale si chiama anche divorzio congiunto perché viene fatta una “domanda congiunta” da parte dei coniugi, nella quale indicano che sono d’accordo su tutte le condizioni, e chiedono di divorziarsi. Il procedimento è molto veloce. Se viene fatto in Tribunale basta un’unica udienza. Se viene fatto nello studio dell’avvocato senza andare in Tribunale (divorzio con negoziazione assistita degli avvocati) si ottiene in meno di un mese. Il divorzio in Comune dal Sindaco può, invece, essere fatto solo in certi limitati casi.
Cosa si intende per divorzio consensuale (divorzio congiunto)
Il divorzio consensuale su domanda congiunta può essere chiesto dai coniugi che hanno trovato un accordo su tutti gli aspetti del divorzio, nel rispetto dei diritti della moglie, del marito e degli eventuali figli.
Le parti devono stabilire le condizioni prima di iniziare la causa, il Tribunale ne valuterà la legittimità e, dopo una sola udienza, emetterà una sentenza che le ratifica.
Le principali questioni che solitamente devono esser risolte dalle parti sono:
- l’entità dell’assegno divorzile per il coniuge, generalmente la moglie (i criteri per l’assegno di mantenimento per la moglie nel divorzio sono diversi rispetto all’assegno di mantenimento nella separazione);
- le modalità di versamento dell’assegno (mensile o in un’unica soluzione c.d. assegno una tantum o assegno tombale);
- il mantenimento dei figli (assegno mensile per il contributo al mantenimento, oltre il pagamento delle spese straordinarie)
- affidamento condiviso (o esclusivo) dei figli;
- collocazione dei figli presso un genitore;
- Assegnazione della casa familiare (casa coniugale);
- il trasferimento di denaro o di beni così come altre possibili questioni patrimoniali.
I coniugi, se lo desiderano, possono farsi assistere da un solo avvocato di comune fiducia oppure ognuno può avere il proprio. Si può anche optare per un avvocato divorzista, ossia un avvocato esperto in diritto di famiglia (avvocato matrimonialista / avvocato familiarista).
Come si chiede il divorzio consensuale in Tribunale
Il divorzio consensuale, ossia su domanda congiunta, può essere chiesto nell’ultimo luogo di residenza comune dei due coniugi o nel luogo di residenza dei figli o di ciascuna delle parti (con deposito della domanda al Tribunale o, in determinate ipotesi, in Comune).
Se uno dei due coniugi o i figli sono residenti all’estero, la domanda congiunta si presenta al Tribunale o al Comune del luogo di residenza o di domicilio del coniuge residente in Italia.
Se entrambi i coniugi italiani e i figli sono residenti all’estero, la domanda congiunta può essere fatta in Italia in qualsiasi Tribunale.
I coniugi possono avere l’assistenza legale di un unico avvocato oppure di due Professionisti diversi.
Dopo aver trovato raggiunto l’accordo, gli avvocati devono trascrivere le condizioni in un ricorso da depositare al Tribunale competente.
Questo atto a firma congiunta riporta le decisioni sull’affidamento e la collocazione dei figli, sull’assegnazione della casa familiare, sul mantenimento dei figli, sull’eventuale assegno per il coniuge, ove ne abbia diritto e su altri aspetti patrimoniali da regolare.
Il Tribunale in composizione collegiale, a seguito di un’udienza che si svolge con modalità cartolare (cioè con trattazione scritta in cui non deve essere presente personalmente la coppia) dopo aver verificato che siano stati rispettati i diritti delle parti e dei figli minori, se presenti, emette una sentenza con la quale ratifica le condizioni individuate.
La causa, quindi, finisce generalmente entro qualche mese e dopo una sola udienza.
Quali documenti servono per chiedere il divorzio consensuale
I documenti che servono per introdurre un divorzio consensuale sono:
- copia dell’atto integrale di matrimonio da chiedere al Comune di celebrazione del matrimonio o al comune di residenza all’epoca del matrimonio;
- certificato di stato di famiglia e di residenza che possono essere anche contestuali in unico certificato. Alcuni Tribunali accettano anche l’autocertificazione;
- copia conforme all’originale dell’verbale omologato di separazione consensuale, della sentenza di separazione giudiziale o dell’accordo di negoziazione assistita/accordo firmato dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile;
- dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni ed indicazione della condizione patrimoniale delle parti.
I certificati possono essere depositati in carta libera come prevede l’art. 19 della legge n.74/1987 per uso separazione o divorzio e sono esenti da imposta da bollo eccetto eventuali diritti di segreteria pari a pochi centesimi di Euro. Molti comuni li rilasciano anche on-line e hanno la stessa valenza legale di quelli cartacei. I certificati sono validi sei mesi.
Divorzio, com’è il ricorso di divorzio congiunto (consensuale)
I coniugi che vogliono divorziare consensualmente devono rivolgersi ad un avvocato, specializzato in diritto di famiglia, (oppure sceglierne uno a testa) e iniziare una procedura in Tribunale, che di solito è quello competente per il Comune di ultima residenza comune o di residenza degli eventuali figli.
Il ricorso deve contenere alcuni dati “burocratici” come i dati del matrimonio (luogo di celebrazione, estremi dell’atto di matrimonio ecc.), le generalità dell’avvocato, delle parti e degli eventuali figli della coppia.
Nel ricorsogli avvocati devono riportare tutte le condizioni che le parti hanno concordato:
- sugli aspetti personali: come l’affidamento ed il collocamento dei figli o la regolamentazione del diritto di visita del genitore che non vivrà principalmente con loro;
- sugli aspetti patrimoniali: per esempio se prevedono il pagamento di un assegno divorzile al coniuge, la quantificazione del mantenimento per i figli, l’assegnazione della casa familiare, la suddivisione di beni o denaro;
Sebbene il ricorso congiunto debba solo “riassumere” gli accordi già raggiunti da moglie e marito è bene che l’avvocato verifichi l’inserimento di tutte le condizioni rilevanti per le parti. Il Tribunale, infatti, procederà ad una verifica della legittimità di quanto stabilito.
Divorzio congiunto: decreto di fissazione dell’udienza
Dopo il deposito del ricorso presso la Cancelleria del Tribunale, alla causa di divorzio viene assegnato un numero di protocollo, e viene inviata al Presidente del Tribunale, oppure ad un altro Giudice da lui delegato, per la fissazione dell’udienza di trattazione.
La comunicazione dell’udienza viene fatta agli avvocati delle parti, le quali non dovranno partecipare salvo ne facciano esplicita richiesta risultando bastevole la dichiarazione di non volersi conciliare.
A differenza di ciò che succede nel divorzio giudiziale, in questo decreto il Tribunale non fissa i termini per la notifica del ricorso o per la costituzione del convenuto, perché i legali (o l’unico avvocato) hanno il compito di comunicare ai loro assistiti quanto stabilito dal Presidente e perché sia moglie che marito si considerano costituiti in giudizio con il deposito congiunto del ricorso.
Il coniuge può cambiare idea e revocare il consenso per il divorzio congiunto?
Rispondere a questa domanda non è molto facile perché ci sono state differenti interpretazioni dei Tribunali italiani.
La giurisprudenza maggioritaria, comunque, ritiene che il coniuge non possa cambiare idea. Ciò significa che, dopo aver sottoscritto il ricorso congiunto, il procedimento dinanzi al Tribunale può continuare anche se la parte che ha cambiato idea non partecipa all’udienza.
Il Giudice, quindi, potrà esaminare la domanda di divorzio e accoglierla secondo le condizioni indicate.
Su questo argomento, però, come abbiamo detto non c’è un’univoca visione nel mondo giuridico quindi potrebbe accadere che davanti al dissenso di una delle parti avvenga il mutamento del rito da consensuale a contenzioso.
La revoca del consenso di una delle parti, invece, ha validità se questa dimostra che la firma sul ricorso congiunto era stata apposta a seguito di errore, violenza o dolo: in questo caso il consenso iniziale può essere ritenuto annullabile.
Cosa succede nella prima udienza del divorzio congiunto
All’udienza fissata dal Presidente del Tribunale i coniugi non devono per forza partecipare con i loro avvocati. L’udienza si svolge con trattazione scritta e con il deposito di note cui le parti si riportano al ricorso introduttivo insistendo per l’accoglimento delle condizioni e dichiarando di non volersi conciliare.
L’udienza si svolge virtualmente dinanzi al Tribunale in composizione Collegiale, ossia davanti a tre giudici.
Successivamente il Tribunale emette la sentenza di divorzio con la quale pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ratificando le condizioni indicate dai coniugi.
Negoziazione assistita e divorzio in Comune: alternative al divorzio consensuale in Tribunale
Marito e moglie già separati che hanno già raggiunto un accordo consensuale per il divorzio, possono optare per la negoziazione assistita con l’intervento di un avvocato per parte.
Gli avvocati scrivono l’accordo di negoziazione assistita nel quale vengono le condizioni relative i loro rapporti personali e patrimoniali, comprese le questioni riguardanti i figli e un eventuale assegno divorzile per il coniuge.
Successivamente uno dei due legali ha il compito di trasmettere l’accordo alla Procura della Repubblica del Tribunale competente, di solito quello dell’ultima residenza comune delle parti o degli eventuali figli, che appone un nulla osta o un’autorizzazione (in caso di presenza di figli) entro pochi giorni dal deposito.
Dopo aver ricevuto il nulla osta o l’autorizzazione del Tribunale il medesimo avvocato deve trasmettere l’accordo di divorzio al Comune in cui è stato trascritto il matrimonio ed in quello di residenza dei coniugi.
Il procedimento, in questo caso, finisce entro poche settimane.
Se la coppia non ha figli, o se sono ormai maggiorenni, e non deve decidere su questioni di divisione patrimoniale, invece, può agire in autonomia e divorziare prendendo un appuntamento presso l’Ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza di uno dei due. L’addetto comunale prenderà atto delle condizioni di divorzio e le parti firmeranno il relativo documento.
Il procedimento, in questo caso, finisce in un periodo che varia dalle poche settimane a qualche mese in base alla lunghezza delle liste di attesa del Comune prescelto.
Qual è il contenuto delle condizioni di divorzio consensuale
Il contenuto dell’accordo di divorzio consensuale è piuttosto libero: le parti, in sostanza, possono definire ogni aspetto personale e patrimoniale legato alla fine del matrimonio, nel rispetto dei diritti reciproci.
Il Tribunale, infatti, ha il compito di controllare che gli accordi rispettino il predetto requisito perché in caso contrario ha l’onere di intervenire affinché moglie e marito cambino le condizioni che hanno un contenuto illegittimo.
Se pensiamo ad un divorzio su domanda congiunta “standard”, nella maggioranza dei casi dobbiamo immaginare di trovare accordi riguardanti:
- il mantenimento dei figli;
- l’affidamento e la collocazione dei figli, oltre alle regole sul diritto di visita del genitore che non vive prevalentemente con la prole;
- l’assegnazione della casa familiare;
- l’assegno divorzile per il coniuge che, nell’ambito di una procedura congiunta, è ammesso anche nella forma una tantum ossia con il versamento in unica soluzione, non più modificabile.
Nei casi più complessi, inoltre, possono essere inserite nell’accordo di divorzio disposizioni patrimoniali legate a investimenti, accantonamenti o impresa familiare, trasferimenti di denaro o di beni, anche immobili per i quali sono persino previste agevolazioni di natura fiscale.
Un limite importante che la legge impone alle parti è l’impossibilità di rinunciare per sempre ai diritti patrimoniali che sorgono a seguito della sentenza di divorzio che, infatti, si definiscono indisponibili.
Divorzio congiunto e affidamento dei figli tra libertà delle parti e controllo del Tribunale
Una delle decisioni più importanti che deve essere presa durante il giudizio di divorzio riguarda l’affidamento dei figli e la loro collocazione.
Dobbiamo ricordare che per affidamento dei figli si intende l’individuazione del genitore più idoneo a prendere le decisioni essenziali per la vita e l’educazione dei figli minori.
Nel nostro paese la forma di affidamento prevalente è quella condivisa, che riconosce ad entrambi i genitori un ruolo paritetico nell’educazione e nella cura dei bambini con lo scopo di far mantenere loro un rapporto il più possibile equilibrato sia con la mamma che con il papà.
La collocazione, invece, riguarda il luogo in cui i figli della coppia che sta divorziando dovranno vivere prevalentemente e, soprattutto, con quale genitore.
Nel divorzio congiunto le parti, spesso con l’aiuto e la mediazione dei rispettivi legali, giungono ad un accordo totale sia sull’affidamento sia sulla collocazione dei bambini.
Il ricorso che viene depositato dall’avvocato deve contenere anche l’indicazione delle modalità in cui i genitori ritengono si debba svolgere il diritto di visita del genitore non collocatario nei confronti dei figli.
In sostanza moglie e marito devono indicare la suddivisione dei giorni in cui i bambini staranno con la mamma e con il papà, così come i periodi di festa e di vacanza. Questa è solitamente una delle fasi più delicate nel percorso che porta all’accordo di divorzio perché ciascun genitore vuole ottenere il giusto tempo da trascorrere con i figli e a volte, purtroppo, proprio il tempo è utilizzato come strumento ricattatorio dalle parti più incattivite e vendicative.
Per questo motivo è sempre utile affidarsi alla consulenza di uno Studio legale esperto in diritto di famiglia che sappia guidare i propri assistiti (siano entrambi i genitori o soltanto uno) nella ricerca dell’accordo più vantaggioso per i bambini al di là delle rivalse personali.
Se è pur vero che nella procedura congiunta i genitori hanno ampio spazio per accordarsi il Tribunale mantiene sempre un obbligo di verifica affinché ai minori venga garantito un rapporto continuo e assiduo sia con la mamma che con il papà.
A livello statistico sono proprio le condizioni relative all’affidamento ed al diritto di visita dei figli che vengono più frequentemente “bocciate” dai Collegi nell’ambito di un divorzio congiunto. In questi casi il Tribunale può suggerire alle parti i correttivi da apportare o, nei casi più gravi, rigettare la domanda di divorzio.
Divorzio consensuale e assegnazione della casa coniugale – casa familiare
L’assegnazione della casa familiare è legata strettamente all’esigenza di tutelare l’interesse morale e spirituale dei figli a continuare a vivere nella stessa casa per rendere meno traumatico il cambiamento di vita causato fine del matrimonio dei genitori.
Il provvedimento, infatti, non dipende dalla proprietà dell’immobile ma dalle esigenze della famiglia, soprattutto in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti.
In caso di coppia con figli il diritto ad abitare nella casa familiare spetta principalmente a loro e, di riflesso, al genitore collocatario, ossia al genitore che vivrà prevalentemente con la prole.
Il coniuge che riceve l’assegnazione della casa avrà diritto di abitarvi fino a quando i figli non vi vivranno più o saranno economicamente autosufficienti, quindi, indipendentemente dalla maggiore età degli stessi.
Nell’ambito di un divorzio congiunto, però, il Tribunale può lasciare più autonomia alle parti nella decisione su chi dovrà rimanere a vivere nella casa familiare, pensiamo al caso in cui il nucleo familiare abbia la disponibilità di più case oppure che, con l’assenso dei figli, le parti optino per un trasferimento in una casa più grande.
I Giudici del Collegio dovranno valutare che l’interesse primario dei minori rimanga intatto e, in questo caso, potranno anche autorizzare che l’assegnazione della casa familiare venga effettuata a favore del coniuge non collocatario.
Ancora di più in caso di coppia senza figli, il Tribunale tenderà ad accogliere un accordo che prevede il provvedimento di assegnazione a favore di uno dei due coniugi, indipendentemente dalla proprietà della casa.
Divorzio congiunto e assegno di mantenimento per il coniuge e per i figli | Assegno una tantum
Quando moglie e marito decidono di divorziare consensualmente devono affrontare due questioni patrimoniali molto importanti:
- la prima, se hanno figli, è obbligatoria e riguarda il contributo al mantenimento per i figli;
- la seconda dipende dalla loro condizione economica e riguarda l’assegno divorzile a favore di uno dei due coniugi.
Attraverso il contributo al mantenimento dei figli, minori o maggiorenni ma non economicamente sufficienti, entrambi i genitori partecipano al sostentamento di tutte le esigenze materiali della prole.
Il Tribunale solitamente lascia ampio spazio alle parti per definire le modalità di versamento, che sono:
- il meno frequente mantenimento in forma diretta ossia il pagamento volta per volta da parte di ciascun genitore della spesa che deve essere sostenuta a favore dei figli:
- il più utilizzato assegno periodico a favore del genitore collocatario ossia il versamento mensile di una cifra determinata dalle parti in sede di accordo divorzile effettuato a favore del genitore che vive prevalentemente con i figli.
Dobbiamo sempre ricordare che il contributo al mantenimento esclude generalmente le spese straordinarie, cioè quelle spese relative ai bisogni medici, ludici, ricreativi o extrascolastici dei minori e che devono essere suddivise tra i genitori oppure a carico di uno di essi.
Attraverso l’assegno divorzile, invece, uno dei coniugi si può obbligare a garantire un aiuto economico all’altro.
Questa forma di “assistenza” nei confronti della persona che diventerà l’ex moglie (o l’ex marito seppure casistica meno frequente) di solito viene riconosciuta quando è provata un’inadeguatezza dei mezzi economici oppure l’impossibilità oggettiva di procurarseli.
Nell’ambito di un divorzio consensuale, però, il Tribunale non procede ad un controllo sulla sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge sul divorzio per il riconoscimento di un assegno a favore dell’ex. Se le parti stabiliscono un importo a titolo di assegno divorzile, il Collegio tende ad avallare la decisione senza entrare nel merito.
La decisione sulle modalità di pagamento, anche in questo caso, è lasciata alle parti che generalmente possono optare per:
- un assegno periodico, ossia il pagamento mensile di una somma determinata in sede di accordo;
- un assegno una tantum, ossia il pagamento in un’unica soluzione di una cifra stabilita tra le parti che definisce per sempre le questioni economiche tra i coniugi e non è più modificabile;
- un trasferimento di beni, di quote azionarie, di denaro o di altre forme di natura patrimoniale.
È importante che l’avvocato consigli molto bene il proprio assistito / i propri assistiti in questa fase perché l’aspetto economico deve poter soddisfare entrambi anche alla luce del fatto che, mentre tutte le condizioni di divorzio potranno subire delle modifiche nel corso degli anni, nel caso in cui le parti scelgano l’opzione dell’assegno una tantum questa non sarà più modificabile.
Le somme corrisposte una tantum non sono neppure detraibili in fase di dichiarazione dei redditi al contrario dell’assegno periodico versato a favore del coniuge.
Il Tribunale avrà l’onere di valutare la legittimità della decisione relativa all’assegno in particolar modo in caso di assegno in unica soluzione: in questo caso, infatti, la legge obbliga i Giudici di valutare la congruità dell’accordo.
L’assegno in unica soluzione non è previsto, invece, per il contributo al mantenimento nei confronti dei figli.
Quali possono essere le forme dell’assegno una tantum
Nel rispetto del principio di autonomia concessa ai coniugi nell’ambito del divorzio consensuale, le forme di assegno una tantum possono essere svariate.
Tra le più frequenti prescelte dai coniugi troviamo:
- il classico versamento di una somma di denaro (anche rateizzabile);
- il passaggio di proprietà di uno o più beni immobili;
- la cessione di quote azionarie (o altre tipologie di investimento/accantonamento) o di parte di fondi patrimoniali e trust a favore del coniuge;
- la concessione di beni di particolare valore monetizzabile in modo certo (ad esempio il passaggio di quadri di valore, gioielli o opere d’arte che hanno una specifica valutazione verificabile dal Tribunale).
Indipendentemente dalla forma scelta dai coniugi, il Tribunale dovrà comunque valutare la congruità dell’accordo stabilito in base alla condizione patrimoniale delle parti.
Sentenza di divorzio consensuale
La sentenza di divorzio è il provvedimento del Tribunale con il quale viene sciolto il matrimonio o vengono cessati gli effetti civili dello stesso recependo le condizioni indicate dai coniugi nel ricorso introduttivo.
Attenzione, però, perché possibile che il Tribunale rigetti la domanda nel caso in cui verifichi che le condizioni non rispettano i diritti dei coniugi o dei figli.
Modifica delle condizioni di divorzio
Tutte le condizioni stabilite nella sentenza di divorzio possono essere modificate nel caso in cui sopraggiungano giustificati motivi. Il procedimento per modificare le condizioni di divorzio ha una durata variabile che dipende dal grado di conflittualità tra ex moglie ed ex marito, dalle prove da ammettere e valutare e dall’eventuale accordo sui cambiamenti da introdurre.
Il procedimento è simile a quello del divorzio: l’avvocato della parte interessata deve depositare un ricorso con il quale vengono illustrate le condizioni da modificare e le cause che hanno portato ai cambiamenti che vengono dettagliati.
La procedura può essere giudiziale o consensuale.
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