Da non mantenere il figlio maggiorenne che guadagna poco (Cassazione 26259/2005).
Un giovane con capacità ed esperienza lavorativa può cambiare facilmente attività
Da non mantenere figlio che guadagna poco
(Cassazione 26259/2005)
I figli maggiorenni con un lavoro non hanno diritto al mantenimento, anche se svolgano una attività non redditizia. Lo ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione confermando una sentenza della Corte di Appello di Genova che aveva dato ragione all’ex marito che si era rifiutato di mantenere il figlio che, ormai maggiorenne, era da alcuni anni a capo di una attività commerciale, nonostante gli affari non andassero bene. Per la Suprema Corte, infatti, pur essendo vero che il figlio non aveva l’indipendenza economica, la soluzione preferibile sarebbe stata quella di cambiare lavoro, cosa non difficile per chi sia in possesso di capacità ed esperienze lavorative, piuttosto che insistere nel mantenimento di una attività non redditizia. (12 gennaio 2005)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.26259/2005 (Presidente: M. G. Luccioli; Relatore: P. Giuliani)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in data 12/13.5/1995, A.M. B. chiedeva al Tribunale di Savona di pronunciare la separazione personale dal marito, G. T., affidandole il figlio M., all’epoca minore, assegnandole la casa familiare di proprietà comune, fissando a carico del coniuge un assegno a titolo di mantenimento del figlio stesso [1], nonché condannando la parte avversa alla rifusione delle somme sborsate per far fronte ai mutui contratti in costanza di matrimonio per le necessità domestiche.
Si costituiva il convenuto, non opponendosi alla separazione, ma chiedendo la divisione del patrimonio mobiliare ed immobiliare appartenente alla coppia.
Il Giudice adito, con sentenza n. 409 del 2002, pronunciava la separazione dei coniugi, assegnava l’abitazione anzidetta alla moglie, senza peraltro riconoscere un conseguente corrispettivo al marito per l’uso della quota di comproprietà, respingeva, per difetto di prova, le domande, spiegate dalla B., rispettivamente intese ad ottenere la determinazione di un contributo al mantenimento del figlio (divenuto maggiorenne ormai, ma, secondo l’istante, non autonomo economicamente) ed il rimborso dei ratei di mutuo pagati anche per conto del T. quale debitore comune e solidale, dichiarava, infine, inammissibile la domanda, avanzata da quest’ultimo, volta a conseguire la divisione dl patrimonio comune.
Avverso la decisione, proponeva appello la stessa B., quanto alla mancata determinazione, a carico del coniuge, dell’assegno per il figlio ed al mancato accoglimento dell’istanza di rifusione delle somme corrisposte nell’interesse di entrambi.
Resisteva nel grado l’appellato, chiedendo il rigetto del gravame e spiegando, a propria volta, appello incidentale mediante il quale insisteva affinché si provvedesse alla divisione dei beni comuni ed al riconoscimento in suo favore di un indennizzo per il godimento della casa familiare attribuito alla moglie.
La Corte territoriale di Genova, con sentenza in data 8.23/11/2002, parzialmente riformando la pronuncia impugnata, dichiarava inammissibile la domanda della B. volta ad ottenere la rifusione della metà delle somme erogate per il soddisfacimento dei mutui contratti dai coniugi in costanza di convivenza, condannava la stessa B. a corrispondere al marito, a titolo di corrispettivo del godimento dell’alloggio di comune proprietà assegnatole, respingendo i capi di appello ulteriori.
Assumeva, per quanto qui interessa, detto Giudice: che il T. avesse dimostrato per tabulas che il figlio, da sei anni ormai, gestiva un’attività commerciale, non rilevando, in contrario, il preteso andamento negativo dei relativi affari; che il passaggio in giudicato della pronuncia di separazione dovesse preesistere al momento della proposizione della domanda di scioglimento della comunione in primo grado, onde, essendo tale situazione divenuta irrevocabile solo dopo la decisione del Tribunale, la divisione del patrimonio comune non poteva essere richiesta che in separato giudizio; che la domanda del T. volta ad ottenere, a carico della controparte, l’attribuzione di una somma a titolo di corrispettivo per il godimento della casa, fosse ammissibile ed accoglibile, giacché, rispettivamente, per un verso atteneva alla regolamentazione di una circostanza (come, appunto, l’utilizzo dell’immobile) sicuramente capace di rientrare nella materia tipica del giudizio di separazione, mentre, per altro verso, l’equivalenza delle situazioni reddituali imponeva il riequilibrio delle posizioni a beneficio del coniuge il dell’alloggio era rimasto privo e che aveva dovuto necessariamente affrontare il problema della sistemazione abitativa, sostenendo esborsi non trascurabili, documentati nella specie dall’appellato.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione la B., deducendo tre motivi di gravame ai quali resiste con controricorso il T., il quale, a propria volta, spiega ricorso incidentale condizionato affidato ad un solo motivo, illustrando l’uno e l’altro con memoria, depositata, peraltro, il 7 settembre 2005, ovvero fuori del termine previsto dall’art. 378 c.p.c., cui trova applicazione la sospensione nel periodo feriale (Cass. 19 maggio 1990, n. 4524), il quale, quindi, è venuto a scadere,, nella specie, il 30 luglio 2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve, innanzi tutto, essere ordinata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 e 335 c.p.c., la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad altrettante impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza.
Con il primo motivo di gravame, lamenta la ricorrente principale violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., assumendo: che non si comprende su quale base giuridica la Corte territoriale abbia potuto accogliere la domanda ex adverso formulata in ordine alla condanna di essa ricorrente al pagamento dell’indennità di occupazione dell’appartamento di cui è assegnataria, visto che su tale domanda la difesa della medesima ricorrente aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio, trattandosi di una domanda nuova, avanzata tardivamente e, quindi, inammissibile; che di tale domanda non si trova traccia alcuna negli scritti difensivi del T. redatti anteriormente alla precisazione delle conclusioni davanti al Giudice di prime cure; che lo stesso T., infatti, solo in tale ultima sede aveva chiesto che il Tribunale condannasse la moglie alla corresponsione dell’indennità di occupazione della casa coniugale; che detto Giudice non accoglieva la domanda di cui sopra, trattandosi di domanda irritale, tardiva ed inammissibile, sulla quale la ricorrente non aveva accettato il contraddittorio; che l’assunto della B., se è stato condiviso dal primo Giudice, non è stato neppure preso in considerazione dalla Corte territoriale, benché nell’atto di appello e nella memoria istruttoria autorizzata il difensore della medesima ricorrente avesse rivolto esplicito richiamo all’eccezione per cui è controversia ed avesse contestualmente reiterato tutte le difese agli atti, dichiarando di non avere accettato e di non accettare il contraddittorio su domande ed eccezioni nuove, tra le quali la domanda di indennizzo per l’occupazione ex adverso formulata in sede di precisazione delle conclusioni, onde, nella specie, l’atteggiamento processuale della B. è stato immediatamente e tempestivamente oppositivo; che, in definitiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto confermare la sentenza di primo grado, dichiarando irritale, inammissibile, tardiva e non suscettibile di accoglimento la domanda formulata dal T,. per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, così da non accoglierla la dove ribadita da controparte in grado di appello.
Con il secondo motivo di gravame, del cui congiunto esame con il precedente si palesa l’opportunità involgendo ambedue le trattazioni di questioni strettamente connesse, lamenta la ricorrente principale vizio in procedendo, ex art. 360, n. 4, c.p.c., deducendo: che la sentenza impugnata si presenta illegittima anche sotto il profilo dell’errata valutazione degli elementi processuali da parte dell’Autorità giudicante, la quale ha omesso di valutare gli atti nella loro completezza ontologica e, soprattutto, di tenere conto delle eccezioni sollevate in tema di contraddittorio dalla difesa della B., secondo quanto sopra esposto; che la Corte territoriale è incorsa, nell’ipotesi di specie, in un vizio in procedendo, su cui ha facoltà e competenza a giudicare ed a provvedere la Corte di Cassazione, nel senso che l’accertamento in ordine alla novità o meno della domanda, formulata in sede di precisazione delle conclusioni, rientra nei poteri del Supremo Collegio, tenuto ad esaminare direttamente gli atti processuali nel caso di denuncia appunto di un vizio in procedendo; che la B. ha eccepito tempestivamente, nella sede anzidetta, la tardività e l’irritualità della domanda nuova ex adverso avanzata in quella medesima sede, si che tale istanza veniva respinta dal Giudice di prime cure, onde analoga condotta avrebbe dovuto osservare, sotto il profilo processuale, il secondo Giudice relativamente all’identica domanda proposta con appello incidentale, sulla quale sin dal giudizio di primo grado la difesa della B. aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio.
I due motivi non sono ammissibili.
La Corte territoriale, infatti, nell’impugnata sentenza, ha affermato che la domanda del T., di attribuzione a carico ella controparte di una somma a titolo di corrispettivo per il godimento della casa, è ammissibile, fondata ed accoglibile, ritenendola in particolare ammissibile giacché attiene alla regolamentazione di una circostanza (utilizzo della casa coniugale) che rientra pacificamente nella materia tipica del giudizio di separazione.
appare, dunque, palese come detta Corte, così argomentando ed, in particolare, espressamente riconoscendo l’ammissibilità della domanda in questione, ne abbia, per implicito, escluso la novità, fondando un simile apprezzamento sopra l’esplicita considerazione secondo cui tale domanda attiene alla regolamentazione di una circostanza (utilizzo della casa coniugale) che rientra pacificamente nella materia tipica del giudizio di separazione.
Orbene, l’odierna ricorrente principale, attraverso i due motivi in esame, si è limitata a censurare la sentenza impugnata esclusivamente sotto il profilo della denunciata novità della domanda medesima a causa della sua proposizione in sede di precisazione delle conclusioni, senza, tuttavia, minimamente censurare l’esplicito assunto, come sopra riportato e consistente (lo si ripete) nel fatto che tale domanda attiene alla regolamentazione di un circostanza (utilizzo della casa coniugale) che rientra pacificamente nella materia tipica del giudizio di separazione, posto dal Giudice di merito a base dell’implicita affermazione circa la mancanza della lamentata novità in capo alla domanda anzidetta, onde, in questo senso, la ratio decidendi sottesa alla statuizione di ammissibilità non risulta specificamente (ed integralmente) colta attraverso le relative doglianze della stessa ricorrente.
Con il terzo motivo di gravame, quest’ultima lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione relativamente al rigetto dell’istanza di riconoscimento dell’assegno di mantenimento del figlio, ex art. 360, n. 5, c.p.c., deducendo: che la Corte territoriale non ha completamente valutato i documenti in atti e non ha confermato il provvedimento presidenziale riguardo all’assegno di mantenimento da corrispondere al figlio M.; che nessuna prova ha offerto il padre, malgrado l’onere relativo gravasse su di lui, circa il raggiungimento della sopravvenuta sufficienza economica da parte del figlio medesimo, non risultando esso indipendente e non rilevando la visura camerale tardivamente ed irritualmente prodotta dal T.; che la pretesa azienda del giovane ha subito, tra l’altro, ingenti danni da alluvione con notevoli perdite economiche; che la Corte territoriale, anziché verificare con perizia contabile la situazione di fatto, lamentata dalla B., relativamente all’incapacità lavorativa del figlio ed alla sua mancata indipendenza, ha ritenuto attendibile e fondata la sola versione resa dal T., offrendo un giudizio basato su presunzioni ed assolutamente non tecnico; che detto Giudice, infatti, pur avendo ritenuto oggettiva la riferita situazione e pur avendo accertato che il figlio medesimo non è economicamente autosufficiente, ha preferito suggerirgli di cambiare lavoro, respingendo la domanda relativa all’assegno di mantenimento sulla base della presunzione che il giovane abbia acquisito l’indipendenza perché da alcuni anni lavora in un negozio che, come provato documentalmente, risulta privo di utile, ovvero non reca alcun guadagno ai titolari.
Il motivo non è fondato.
La Corte territoriale, invero, dopo aver espressamente dato conto del fatto che l’onere di dimostrare il raggiungimento dell’autonomia economica della prole grava sul genitore il quale chiede di esserne sollevato, ha, con apprezzamento di per se incensurato, altresì dato conto del fatto che, nel caso di specie, il T. ha comprovato per tabulas che il figlio da sei anni ormai gestisce un’attività commerciale, essendo legale rappresentante di una società esercente commercio al minuto di articoli di cancelleria, libri, bigiotteria e giocattoli (Mariser s.a.s. di T.M. e C.).
La medesima Corte ha, quindi, considerato privo di rilevanza il dato, allegato dalla difesa B. a sostegno della asserita insufficiente capacità reddituale del figlio, della negatività dell’andamento degli affari, desunto dal contenuto delle dichiarazioni dei redditi, oltrechè da una relazione peritale di parte, atteso che la negatività dell’andamento dell’attività, che si protrae da sei anni e che, secondo la consulente, deriverebbe dalla posizione decentrata del punto vendita, evidentemente non depone per una incapacità reddituale del soggetto che la conduce ma sembra derivare da fattori obiettivi a fronte dei quali, ove rispondenti a verità, il titolare è tenuto ad attivarsi, assumendo iniziative adeguate, se del caso modificando l’ubicazione dell’attività, senza che ciò possa costituire presupposto per il permanere, o la reviviscenza, dell’obbligo contributivo a carico del genitore, onde il conclusivo rilievo della Corte territoriale secondo cui l’appellato (ha) idoneamente dimostrato che il figlio ha esperienza e capacità lavorative, in senso contrario non rilevando l’asserita inadeguatezza delle entrate dichiarate a fini fiscali del medesimo.
Un simile apprezzamento, indipendentemente dalle ragioni a fondamento della negatività dell’andamento dell’attività, che la Corte territoriale, come si è detto, ha ravvisato (ove rispondente a verità) nella posizione decentrata del punto vendita, ovvero in fattori obiettivi a fronte dei quali… il titolare è tenuto ad attivarsi, assumendo iniziative adeguate, se del caso modificando la ubicazione dell’attività, si sottrae comunque a censura quanto alla decisiva affermazione secondo cui tale negatività dell’andamento dell’attività non depone per una incapacità reddituale del soggetto che la conduce e che ciò non può costituire presupposto per il permanere, o la riviviscenza, dell’obbligo contributivo a carico del genitore, essendo rimasto dimostrato che il figlio ha esperienza e capacità lavorative, in senso contrario non rilevando l’asserita inadeguatezza delle entrate…
Tale affermazione, infatti, risulta conforme al principio in forza del quale il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia dimostrato il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, senza che possa aver rilievo il sopravvento di circostanze ulteriori (come, ad esempio, lo stesso abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, o come, per restare al caso di specie, la negatività dell’andamento dell’attività) le quali, se pur determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno (Cass. 5 agosto 1997, n. 7195; Cass. 7 luglio 2004, n. 12477), nel senso esattamente che il fondamento del diritto del coniuge convivente a percepire l’assegno de quo risiede, oltre che nell’elemento oggettivo della convivenza (il quale lascia presumere il perdurare dell’onere del mantenimento), nel dovere dell’altro coniuge di assicurare al figlio un’istruzione ed una formazione professionale rapportate alla capacità di quest’ultimo (oltrechè alle condizioni economiche e sociali dei genitori), così da consentire al medesimo un propria autonomia economica, onde tale dovere cessa, con l’inizio appunto dell’attività lavorativa da parte di quello (Cass. 4 marzo 1998, n. 2392).
Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato.
Resta, di conseguenza, assorbito il ricorso incidentale, così condizionato, proposto dal T. in via del tutto subordinata e solo per il caso (e nella denegata ipotesi) di accoglimento del ricorso principale anzidetto.
La natura e la dubbiezza delle questioni affrontate giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Roma, 19 sett. 2005.
Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2005.
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