La Corte di Cassazione ammette la sentenza anticipata di separazione tra coniugi. Cass. 13312/99
Avvocato Separazione | Studio Legale Marzorati
Separazione, è ammessa la pronuncia anticipata
(Cassazione 13312/99)
Deve sempre essere privilegiata una “rapida definizione del rapporto personale tra coniugi” in caso di separazione, rinviando ad un momento successivo la pronuncia sulle “questioni accessorie”. Questo, in sostanza, il principio stabilito dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che ha ritenuto applicabile la disposizione che consente una pronuncia anticipata, prevista dalla legge sul divorzio, anche alla separazione, cioè al momento che precede la pronuncia di scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale. La Cassazione rileva infatti come la riforma del diritto di famiglia del 1975 abbia “profondamente modificato l’istituto della separazione”, divenuta, da “situazione patologica” riconducibile ad un “comportamento colpevole di uno o entrambi i coniugi”, il “rimedio ad una convivenza divenuta intollerabile o tale da recare pregiudizio all’educazione della prole”. Da ciò deriva lo stretto legame funzionale tra la condizione del coniuge separato e quella del coniuge divorziato, che si traduce in un “favor separationis” che consente di applicare alla separazione la disciplina prevista per il divorzio, al fine di “consentire una pronta acquisizione dello stato libero a fronte di un rapporto ormai definitivamente compromesso”. Per la Suprema Corte, infatti, la “legittima aspirazione a conseguire lo stato di separato” non può essere condizionata dalle esigenze istruttorie relative alle questioni accessorie ancora da definire, non essendo contestabile la sussistenza di un “apprezzabile interesse a conseguire senza indugi una pronuncia suscettibile di acquisire autorità di giudicato”, cioè una pronuncia definitiva.
In concreto, ed in parole semplici, per avviare il procedimento divorzile non sarà più necessario attendere la sentenza definitiva che dispone in ordine a tutte le questioni economiche, ed anche all’eventuale domanda per l’addebito (definite, nella sentenza in commento, relative a “questioni accessorie”), ma sarà sufficiente aver riguardo alla sentenza anticipata che dispone, per così dire “anagraficamente” la separazione. L’effetto è che non sarà più necessario attendere anche molti anni (perfino 15 ed oltre) – com’è accaduto sinora – per introdurre la domanda di divorzio.
La Corte Suprema di Cassazione
Sezione prima Civile
Ha pronunciato la seguente sentenza
Sul ricorso proposto da P.A.L.
Contro
N.S.
Avverso la sentenza n. 212/97 della Corte d’Appello di Cagliari, depositata il 9/6/97;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 23 dicembre 1992 Sergio N. chiedeva al Tribunale di Cagliari di pronunciare la separazione personale dalla moglie A.L.P.. Quest’ultima, costituitasi, non si opponeva alla domanda. All’udienza di precisazione delle conclusioni la P. chiedeva tra l’altro che si dichiarasse la separazione con addebito al marito.
Con sentenza non definitiva del 25 giugno – 20 settembre 1996 il Tribunale pronunciava la separazione personale dei coniugi senza addebito, assegnava al N. la casa coniugale e disponeva con separata ordinanza per l’ulteriore corso del giudizio.
Avverso tale sentenza proponeva appello la P. deducendone l’illegittimità, in quanto pronunciata ai sensi dell’art. 4 comma 9 della legge sul divorzio, inapplicabile nel giudizio di separazione, e dolendosi per essere stato escluso l’addebito al marito.
Con sentenza del 21 marzo – 9 giugno 1997 la Corte di Appello di Cagliari rigettava l’impugnazione, osservando in motivazione che anche al giudizio di separazione era applicabile la norma suindicata, stante il richiamo contenuto nell’art. 23 della legge n. 74 del i987 e la mancanza di profili di incompatibilità tra i due procedimenti che ne impedissero l’applicazione.
Rilevava peraltro che la domanda di addebito della separazione al marito doveva considerarsi inammissibile ai sensi dell’ art. 345 c.p.c., in quanto proposta per la prima volta nelle conclusioni finali di primo grado, anche se ” per evidente svista materiale ” il N. aveva dichiarato in detta sede di non accettare il contraddittorio in relazione non a quella, ma ad altra domanda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la P. deducendo due motivi. Non vi è controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando falsa applicazione dell’art. 4 comma 9 della legge n. 898 del 1970, nel testo riformato dalla legge n. 74 del 1987, dell’art. 23 della legge n. 74 del 1987 e dei principi cui si ispira la disciplina del matrimonio, si deduce l’errore della Corte di Appello per aver ritenuto la norma di cui al richiamato art. 4 comma 9 compatibile con il procedimento di separazione personale.
I1 motivo è infondato.
Va innanzi tutto osservato che, come questa Suprema Corte ha in più occasioni chiarito, l’art. 8 della legge n. 74 del 1987, sostitutivo dell’art. 4 della legge n. 898 del 1970, configura al comma 9 non una deroga, ma un’ipotesi normativa di applicazione del principio generale di cui all’art. 277 comma 2 c.p.c. (che la giurisprudenza riteneva sicuramente applicabile già nel vigore della legge n. 898 del 1970, così da ravvisare la possibilità di dichiarare con sentenza non definitiva lo scioglimento del vincolo, rinviando all’esito di ulteriore istruttoria la decisione sulle altre richieste delle parti: v. per tutte Cass. 1983 n. 7025; 1977 n. 4397; 1977 n. 3038 ), con l’unico elemento distintivo della sostituzione all’istanza di parte ed alla necessaria verifica della sussistenza di un apprezzabile interesse concreto di questa alla sollecita definizione della domanda, di una valutazione generale ed astratta della rispondenza della pronuncia non definitiva ad un interesse siffatto, in piena aderenza alla complessiva disciplina processuale ed allo spirito generale della legge di riforma del divorzio ( così Cass. 1996 n. 3596; 1996 n. 1314; 1993 n. 8862; 1993 n. 4873; 1992 n. 11978; 1992 n. 3426; 1991 n. 4193 ). Il legislatore del 1987 ha in sostanza inteso delineare, a prescindere dall’impulso del soggetto che ha promosso l’azione, uno strumento di accelerazione del processo volto ad assicurare una rapida definizione del rapporto personale tra i coniugi, eliminando l’incidenza negativa della durata della controversia attinente agli altri rapporti.
Come già affermato da questa Suprema Corte nella sentenza n. 12775 del 1995 ( v. in motiv.) e come è orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di merito, tale disposizione deve considerarsi applicabile al giudizio di separazione personale, in forza dell’espresso richiamo contenuto nel primo comma dell’art. 23 della legge n. 74 del 1987, non ravvisandosi profili di incompatibilità tra i due procedimenti che ostino a detta applicazione .
Premesso invero che esiste un’evidente affinità tra i provvedimenti accessori concernenti l’affidamento dei figli, il contributo per il loro mantenimento, l’assegnazione della casa familiare, l’assegno al coniuge più debole, da emettere in sede di separazione e di divorzio, non può certo invocarsi la diversa natura dei due istituti quale ragione impeditiva dell’estensione della norma in oggetto al processo di separazione .
Questa Suprema Corte ha avuto più volte occasione di rilevare che la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha profondamente modificato l’istituto della separazione – concepito dal legislatore del 1942 come situazione patologica ontologicamente transitoria, nella prospettiva di una difesa ad oltrsn7a della famiglia ed in vista della ricomposizione del vincolo coniugale, ammissibile solo in ipotesi tassative, riferite al comportamento colpevole di uno o di entrambi i coniugi, secondo una logica chiaramente sanzionatoria e repressiva – configurando la separazione stessa come rimedio ad una convivenza divenuta intollerabile o tale da recare grave pregiudizio all’educazione della prole, e quindi come certificazione della fase patologica del rapporto coniugale costituente titolo autosufficiente di cessazione della convivenza e suscettibile di sfociare in un successivo divorzio o anche di protrarsi indefinitamente, secondo la libera determinazione delle parti ( v. in tal senso Cass. 1997 n. 6566; 1995 n. 3098; 1994 n. 10512 ).
Lo stretto legame funzionale che in questa prospettiva si ravvisa tra la condizione di coniuge separato e quella di divorziato comporta che il favor libertatis espresso nella novella del 1987, ispirato alla necessità di consentire una pronta acquisizione dello stato libero a fronte di un rapporto ormai definitivamente compromesso, si traduca anche in un favor separationis, quale fase necessaria precedente alla definitiva rescissione del vincolo, così escludendosi che la legittima aspirazione a conseguire lo stato di separato resti condizionata dalle esigenze istruttorie relative alle questioni accessorie ancora da definire.
Tenuto conto invero che la proposizione della domanda di divorzio ai sensi dell’ art. 3 n. 2 lett. b) presuppone la formazione del giudicato sulla separazione, non può contestarsi la sussistenza di un apprezzabile interesse a conseguire senza indugi una pronuncia suscettibile di acquisire autorità di giudicato. Né può trascurarsi di considerare che un’ulteriore ragione di interesse alla immediata definizione della domanda relativa alla separazione è fornita dall’esigenza di porre termine al regime di comunione legale dei beni, il quale – come è noto secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte richiede appunto il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ai sensi dell’ art. 191 c.c.
Una significativa indicazione in favore dell’interpretazione qui accolta è offerta dalla relazione parlamentare alla legge n. 74 del 1987, che nel rilevare che la semplificazione del procedimento di divorzio risponde anche allo scopo di dare effettività al termine triennale per lo scioglimento del vincolo, ha osservato che questo ” non deve coincidere con i tempi del processo di separazione “. Ed è appunto tale non necessità di coincidenza che consente di escludere che la pendenza del processo di separazione costituisca di per sé ostacolo all’acquisizione dello stato libero – salvi ovviamente il requisito temporale triennale di ininterrotta separazione e la formazione del giudicato sulla declaratoria di separazione personale -, e quindi di argomentare che il giudizio di divorzio può essere promosso anche quando quello di separazione non sia stato ancora totalmente definito.
Non può d’altro canto dubitarsi della piena autonomia – pur nell’innegabile pregiudizialità della prima – tra pronunzia sulla separazione e statuizioni relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, all’assegnazione della casa coniugale ed all’assegno in favore del coniuge più debole, tenuto conto della distinzione ontologica e concettuale tra di esse, della diversità degli accertamenti e delle valutazioni da compiere ai fini del decidere, della circostanza che le statuizioni accessorie sono soggette, quanto alla loro efficacia nel tempo, alla clausola rebus sic stantibus.
E’ noto invero che le disposizioni concernenti la prole e quelle riguardanti i rapporti patrimoniali tra i coniugi sono suscettibili di successiva modifica o revoca ai sensi degli artt. 155 ult. comma e 156 ult. cornma c.c. – così da poter costituire oggetto esclusivo di autonomo processo ex art. 710 c.p.c., nel quale possono essere anche avanzate pretese economiche ed interpersonali prima non formulate – senza che sia in alcun modo incisa la pronuncia di separazione cui accedono .
Va altresì rilevato che l’ art. 189 disp. att. c.p.c., nel prevedere che i provvedimenti presidenziali o del giudice istruttore emessi ai sensi dell’ art. 708 c.p.c. conservino efficacia esecutiva anche dopo l’ estinzione del processo, fornisce un ulteriore elemento a conferma della scindibilità della pronunzia relativa allo stato di separato rispetto alla regolamentazione dell’assetto patrimoniale e non patrimoniale conseguente.
Deve in conclusione ritenersi che la disposizione secondo la quale il tribunale emette sentenza non definitiva, immediatamente appellabile, in ordine allo status, con remissione al definitivo di ogni altra decisione sui provvedimenti accessori, contenuta nell’ art. 4 comma 9 della legge n. 898 del 1970, nella formulazione introdotta dall’art. 8 della legge n. 74 del 1987, sia applicabile anche ai giudizi di separazione personale, in forza del disposto dell’art. 23 comma 1° della stessa legge.
La questione qui decisa è ovviamente diversa ( e la soluzione accolta non è quindi confliggente ) rispetto a quella relativa alla possibilità di pronunciare separatamente, in via non definitiva la separazione personale tra i coniugi, rimettendo al definitivo la pronuncia sull’addebito, esclusa da questa Suprema Corte sul rilievo che nell’ordinamento è configurabile un unico modello di separazione e che la dichiarazione di addebito, attenendo ad un profilo accessorio ed eventuale dell’accertamento dell’improseguibilità della convivenza, può essere emessa solo contestualmente alla pronuncia sulla separazione (v. Cass. 1998 n. 371 8).
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’ art. 112 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’ art. 360 n. 5 c.p.c., si deduce che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda di addebito della separazione, atteso che essa era stata proposta già in primo grado e che il Tribunale aveva proceduto al suo esame nel merito . Si deduce altresì che a fronte della mancata deduzione da parte del N. della tardività della domanda introdotta in primo grado la medesima Corte ha arbitrariamente affermato che per “evidente svista materiale” il predetto aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio in relazione ad altra domanda.
La censura è fondata.
Risulta invero dall’esame diretto degli atti, consentito a questa Corte vertendosi in tema di error in procedendo, che il Tribunale, pronunciando con sentenza non definitiva la separazione dei coniugi, ebbe effettivamente ad esaminare la domanda della P. di addebito della separazione stessa al marito, formulata in sede di precisazione delle conclusioni, e ad escluderne nel merito la fondatezza, sul rilievo che le circostanze all’uopo dedotte, costituite dall’abbandono della casa familiare e successivamente dal vessatorio distacco delle utenze domestiche, non apparivano dotate di efficacia causale in ordine al verificarsi della crisi coniugale, ma si profilavano piuttosto come mere conseguenze della già determinatasi dissoluzione del rapporto tra le parti . A fronte di tale statuizione appare evidente l’errore della Corte di Appello, che anziché ravvisare nel relativo motivo di gravame una censura alla sentenza del primo giudice nel punto in cui aveva negato la responsabilità del marito ha affermato l’inammissibilità della domanda di addebito per il suo carattere di novità.
L’accoglimento di tale motivo di ricorso comporta l’annullamento per quanto di ragione della sentenza impugnata e la remissione ad altro giudice, che si designa nella sezione distaccata di Sassari della Corte di Appello di Cagliari, che dovrà pertanto pronunciare in sede di sentenza non definitiva anche sul punto dell’addebito. Lo stesso giudice del rinvio provvederà sulle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 2 luglio 1999.
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