Divorzio e Assegno divorzile o Una Tantum alla moglie I Avvocato
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Divorzio e Assegno di mantenimento alla moglie e Assegno Una Tantum
Divorzio e mantenimento della moglie – La Guida: Assegno e Una Tantum nel divorzio
Divorzio e Assegno divorzile o Una Tantum alla moglie – Indice
Cos’è l’assegno divorzile
Cos’è l’assegno divorzile (o assegno di divorzio)
Il divorzio fa finire il matrimonio ed estingue i doveri coniugali, tuttavia esiste un diritto a ricevere un mantenimento dal coniuge quando:
- si verifica uno squilibrio tra le condizioni economiche degli ex coniugi e la moglie o il marito non hanno mezzi adeguati al loro sostentamento o non possono procurarseli per ragioni oggettive.
In questi casi può essere riconosciuto il diritto del coniuge economicamente più debole (generalmente la moglie) a ricevere un assegno divorzile.
Il calcolo dell’assegno di mantenimento alla moglie (assegno divorzile) si fa in base alla condizione patrimoniale e reddituali di moglie e marito, ma tenendo anche conto della durata del matrimonio, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascun coniuge o del patrimonio comune.
L’assegno di mantenimento divorzile ha una natura assistenziale e compensativa.
L’assegno divorzile è deducibile dal reddito di chi lo versa mentre per chi lo riceve è assimilabile al reddito di lavoro dipendente e, quindi, dovrà essere oggetto di apposita dichiarazione.
Divorzio, quali sono i requisiti per ottenere l’assegno
Per poter ricevere l’assegno divorzile, ad eccezione di un accordo tra la coppia, il coniuge deve svolgere espressa domanda in sede di divorzio giudiziale. Se la domanda di divorzio viene presentata contestualmente alla domanda di separazione la valutazione dell’assegno divorzile deve essere dedotta subito nel primo atto.
Secondo gli ultimi orientamenti interpretativi l’assegno può essere riconosciuto quando viene accertata l’inadeguatezza dei mezzi e dei redditi del richiedente e l’impossibilità oggettiva di procurarseli.
Parallelamente deve essere valutata in modo comparativo la condizione economica di moglie e marito per comprendere se esiste uno squilibrio anche in considerazione del contributo fornito da ciascuno alla conduzione della famiglia ed alla formazione del suo patrimonio economico, alle ragioni della decisione ed alla durata del matrimonio.
Dobbiamo tenere presente che nel valutare la disparità economica tra moglie marito il Giudice non esaminare unicamente i redditi da lavoro ma, più in generale, tutta la consistenza patrimoniale di entrambi (proprietà immobiliari, partecipazioni societarie, azioni, obbligazioni, denaro ecc.).
Divorzio quali sono gli elementi indicativi della capacità di reddito
Quando una coppia deve affrontare il divorzio, soprattutto se giudiziale, uno degli aspetti più complicati è senza dubbio la gestione della situazione patrimoniale.
La comparazione dello stato economico globale dei coniugi, che varia da caso a caso, è importante essendo l’unico modo per capire se ci sia davvero uno squilibrio tra le capacità reddituali.
Generalmente sono considerati rilevanti:
- il possesso di redditi da lavoro e l’effettiva capacità lavorativa;
- l’entità del patrimonio mobiliare (disponibilità di denaro, azioni, obbligazioni, investimenti ecc.) e/o immobiliare (case eventualmente anche messe in affitto, automobili, barche ecc.)
- la stabile disponibilità di un’abitazione e le spese che devono essere sostenute da ciascuno mensilmente.
La rappresentazione delle situazioni patrimoniali e di tutte le attività economicamente rilevanti della coppia permetterà al Tribunale di individuare in maniera obiettiva l’ammontare dell’assegno che spetta al coniuge più debole.
Come abbiamo visto, è importante precisare che la valutazione del Giudice non si basa solo “sullo stipendio” ma, più in generale, sulla consistenza patrimoniale di ciascun coniuge (proprietà immobiliari, partecipazioni societarie, azioni, obbligazioni, denaro ecc.) tenendo in considerazione anche l’apporto conferito da moglie e marito alla vita familiare.
Come si calcola l’assegno di divorzio
Non c’è una regola matematica da applicare per calcolare l’assegno divorzile e solo il Giudice può deciderne l’entità.
Esistono, tuttavia, modelli di calcolo ed interpretazioni giurisprudenziali che forniscono direttive da applicare ma il Tribunale non è obbligato ad uniformarsi.
Per questo, soprattutto nella fase istruttoria di una causa di divorzio giudiziale, è importante individuare i mezzi di prova adatti a tratteggiare nel modo più completo possibile lo stato economico dei due coniugi.
La rappresentazione delle situazioni patrimoniali e di tutte le attività economicamente rilevanti della coppia permetterà al Tribunale di individuare in maniera obiettiva l’ammontare dell’assegno divorzile che spetta al coniuge più debole.
Per procedere con il calcolo il Giudice deve partire da i seguenti criteri:
- la condizione dei coniugi (patrimonio personale, età, qualifica professionale, stato di salute, posizione sociale, nuova relazione amorosa, nascita di altri figli ecc.);
- le ragioni della decisione (comportamenti gravi che abbiano potuto determinare la rottura della comunione e del matrimonio);
- il contributo di ciascuno alla formazione del patrimonio familiare ed alla conduzione della famiglia (valutando anche il lavoro familiare e l’accudimento dei figli e dell’altro coniuge);
- il reddito di entrambi (reddito da lavoro, rendite, assicurazioni, polizze, vitalizi, condizione famiglia d’origine, pensioni, investimenti, patrimonio immobiliare ecc.;
- la durata del matrimonio.
Successivamente il Tribunale deve capire se la diversa condizione economica dei coniugi è frutto delle scelte condivise durante il matrimonio e se la parte che chiede l’assegno abbia o meno i mezzi adeguati a garantirgli il concreto raggiungimento del livello reddituale goduto dalla famiglia grazie anche al suo fattivo intervento o sia impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive.
Nel caso in cui venga riconosciuto uno squilibrio tra le parti, il Giudice potrà riconoscere l’assegno divorzile al coniuge economicamente più debole quantificando una somma che, non tanto colmi la differenza patrimoniale ed economica, ma gli consenta di provvedere al proprio autosostentamento (vitto, alloggio ed esercizio dei diritti fondamentali).
In questa fase è essenziale l’assistenza di uno Studio legale che possa consigliare la parte dal punto di vista giuridico e possa contare su un team di Professionisti multidisciplinari, che operano su diversi livelli, anche all’estero nel caso in cui sia necessario, al fine di poter avviare indagini approfondite che chiariscano le condizioni economiche di moglie e marito.
Assegno divorzile: come incide il tenore di vita della famiglia?
Il tenore di vita è lo stile di vita che la famiglia teneva durante la durata del matrimonio. Viene generalmente individuato considerando le spese sostenute ma, anche, le abitudini dei coniugi e dei figli: a titolo esemplificativo sulla base delle vacanze, delle attività svolte nel tempo libero, delle scuole frequentate, degli hobbies, dei budget destinati alle più svariate tipologie di acquisto.
Prima della modifica interpretativa che tra il 2017 ed il 2018 la Corte di Cassazione ha apportato alla disciplina sull’assegno di divorzio, il tenore di vita era uno dei parametri più importanti in base ai quali veniva riconosciuto e quantificato l’assegno per il coniuge.
Attualmente il tenore di vita costituisce un criterio residuale, anche se ovviamente i criteri che il Tribunale deve valutare restano collegati alla condizione familiare – soprattutto economica – che c’era prima del divorzio.
Divorzio: quanto incide il contributo personale del coniuge (lavoro della casalinga) sull’assegno di mantenimento
Il contributo fornito da moglie e marito alla conduzione della famiglia ed alla formazione del suo patrimonio economico è uno dei criteri che il Giudice deve valutare nel momento in cui si appresta ad esaminare la richiesta di assegno divorzile.
Il lavoro familiare della casalinga, quindi, deve essere considerato dal Tribunale ed avere un peso da quantificare nella formazione del patrimonio della famiglia così come del patrimonio di ciascun coniuge. È innegabile, infatti, che se due sposi decidono, durante il matrimonio, che la moglie faccia la casalinga e si occupi di accudire i figli, questa scelta ha un valore economico.
La moglie, per esempio, potrebbe dover rinunciare alle proprie aspirazioni lavorative favorendo quelle del marito. Ed ancora dal punto di vista prettamente economico e reddituale, la casalinga sarebbe sicuramente “più povera” rispetto al marito.
L’eventuale squilibrio creatosi per la scelta della coppia, deve essere tenuto in considerazione dal Giudice quando valuta la richiesta di assegno divorzile della moglie.
Qual è la differenza tra l’assegno di separazione e divorzio
La differenza tra l’assegno di separazione e l’assegno di divorzio dipende dalla differenza tra separazione e divorzio.
La separazione non interrompe il matrimonio ma ne attenua gli effetti e gli obblighi. Marito e moglie, seppur separati, restano sposati e devono continuare a rispettare i doveri matrimoniali (su tutti quello dell’assistenza morale e materiale) seppure in modo più blando.
Con il divorzio, invece, finisce l’unione matrimoniale e con essa cessano gli effetti, gli obblighi ed i doveri tra i coniugi, ad eccezion fatta di un residuo spirito di “solidarietà assistenziale” che la legge incentiva tra ex moglie ed ex marito.
L’assegno di mantenimento a seguito della separazione, quindi, ha lo scopo di equiparare la situazione economica di coniugi, che devono ancora rispettare, sia pure in forma più debole, le regole di solidarietà coniugale dettate dalle norme del codice civile.
L’assegno di divorzio, invece, è successivo allo scioglimento del matrimonio e quindi è giustificabile solo nella sopravvivenza di un generico principio di solidarietà post-coniugale, che si concretizza con un aiuto che ha lo scopo di sopperire all’eventuale squilibrio economico che si è verificato tra le parti.
Quali sono le modalità di versamento dell’assegno di mantenimento
L’assegno divorzile può essere versato con cadenza mensile (cosiddetto pagamento periodico) ma anche in un’unica soluzione (una tantum ossia un unico pagamento che risolve le pendenze economiche tra le parti per sempre) o con modalità alternative concordate tra moglie e marito o stabilite – su richiesta – dal Tribunale (ad esempio con il pagamento del mutuo o dell’affitto di casa oppure con il trasferimento di beni materiali).
È possibile pagare l’assegno di divorzio con modalità alternative (mutuo, affitto, altri oneri)
L’oggetto dell’assegno di mantenimento può anche non essere il pagamento di una somma di denaro (periodica o in unica soluzione).
Le parti, infatti, possono decidere (o chiedere al Tribunale) di “monetizzare” il trasferimento di proprietà di beni di particolare valore (ad esempio una o più case, una o più automobili, barche, quadri, gioielli, investimenti, quote azionarie ecc.) oppure di optare per una sorta di mantenimento in forma specifica (ossia che si realizza con il pagamento di beni già stabiliti).
In particolare, quest’ultima forma può prevedere il pagamento da parte di un coniuge dell’affitto o del mutuo per l’abitazione dell’altro o, ancora, il provvedere ad alcune spese predeterminate (utenze, spese condominiali, costi dell’auto, ecc.)
Cos’è l’assegno una tantum
Il pagamento dell’assegno divorzile può avvenire in modo periodico, solitamente “mensile”, oppure in un’unica soluzione, anche definito assegno una tantum o tombale.
L’assegno una tantum può essere scelto solo in un divorzio consensuale (non è prevista, pertanto, nel divorzio giudiziale).
Marito e moglie, quindi, concordano il pagamento di un importo (anche rateizzabile in più tranches) che non potrà essere più modificabile indipendentemente dalle vicende personali e/o economiche che accadono al coniuge che lo ha versato.
L’accordo tra i coniugi può anche riguardare il trasferimento di beni diversi dal denaro (ad esempio uno o più beni immobili, quote o azioni societarie ecc.).
Il Tribunale ha il compito di controllare l’equità della somma decisa dalle parti prima di ratificare le condizioni nella sentenza di divorzio, ma nella prassi possiamo affermare che tale controllo è solo formale dato che generalmente si lascia ai coniugi ambia libertà di decisione.
Dobbiamo tenere presente, quindi, che tra l’assegno divorzile periodico e l’assegno in unica soluzione ci sono notevoli differenze sulle conseguenze patrimoniali del divorzio. Ed in particolare:
- l’assegno divorzile una tantum non è più modificabile, per esempio, anche in caso di nuove nozze del beneficiario o di problemi economici sopravvenuti per l’obbligato, la somma determinata deve essere versata integralmente;
- l’assegno in unica soluzione toglie al beneficiario i residui diritti successori nei confronti dell’ex (ad esempio non potrà chiedere un assegno a carico dell’eredità)
- dopo aver ricevuto l’una tantum l’ex non potrà più chiedere la quota del TFR dell’ex;
- l’ex coniuge beneficiario dell’assegno in unica soluzione non potrà ottenere una quota di pensione di reversibilità;
- il versamento dell’assegno in unica soluzione, infine, non è deducibile dalle tasse di chi lo versa e non rappresenta reddito per il coniuge che lo riceve.
Assegno in un’unica soluzione c.d. una tantum, come si calcola
Così come per l’assegno divorzile ordinario, neppure per il calcolo dell’assegno divorzile in unica soluzione esiste una regola.
Ci sono state molte elaborazioni della giurisprudenza che hanno privilegiato un calcolo che parte dalla determinazione spannometrica di quello che potrebbe essere l’assegno di divorzio periodico moltiplicato per vari coefficienti (ad esempio quello relativo all’età inserito nella tabella dell’usufrutto dal DPR n. 131/86) in grado di giungere ad una somma che costituisca una sorta di “rendita vitalizia”, che tiene presente il tasso di interessi di mercato per gli investimenti a lungo termine.
Nella realtà spesso gli Avvocati dei coniugi possono arrivare a definire assegni un’unica soluzione sulle base del valore delle proprietà immobiliari degli assistiti o in prospettiva dell’eventuale TFR che verrà percepito dalla parte obbligata o, ancora, sulla base del possesso di beni di particolare valore da dividere tra le parti (quadri, barche, gioielli, azioni, obbligazioni ecc.).
L’unico “limite” che deve essere rispettato nel calcolo da effettuare è l’equità della somma che poi dovrà essere illustrata al Giudice e da lui approvata.
Assegno di divorzio: richiesta insieme alla separazione con unico atto
La richiesta di assegno di divorzio è solitamente preceduta dalla concessione dell’assegno per il contributo al mantenimento del coniuge in fase di separazione. I due processi possono, infatti, essere trattati separatamente con due cause distinte.
Tuttavia esiste la possibilità di chiederli insieme. Per avere direttamente il divorzio immediato basterà fare una domanda cumulativa che non abolisce la separazione ma permette di ottenere prima la separazione e poi il divorzio in un tempo più breve. E’ necessario che l’avvocato inserisca subito in un unico atto tutte le domande relative alla separazione personale ed al successivo divorzio, il quale potrà essere pronunciato dallo stesso Giudice.
Infatti, entro 90 giorni da deposito del ricorso il Tribunale fissa un’udienza di separazione (con decreto comunicato entro 3 giorni dalla registrazione del deposito in Cancelleria) ordinando alle parti di essere presenti di persona.
Dopo la notifica da parte del ricorrente del ricorso e del decreto di fissazione di udienza al convenuto, le parti avranno la possibilità – prima dell’udienza – di depositare ulteriori atti per precisare le loro richieste e le istanze istruttorie (prove) così da dare al Giudice istruttore un quadro completo.
Per, poi, ottenere il divorzio bisognerà aspettare altri 6 mesi, in caso di separazione consensuale, oppure 12 mesi in caso di separazione giudiziale (quando si è fatto causa).
La causa di separazione o divorzio giudiziale contestuale, quindi, si introduce sempre con un ricorso ma si arriva dal Giudice alla prima udienza già con tutto in modo che sia più facile (e veloce) decidere. Quindi l’avvocato dovrà subito inserire negli atti, in maniera dettagliata e completa, tutti i fatti più rilevanti e, soprattutto, tutti i mezzi di prova. (documenti, ricevute, foto, testimoni ecc.).
All’udienza il Giudice:
1) prenderà i provvedimenti provvisori ed urgenti (assegno di mantenimento per i figli, assegno di mantenimento per il coniuge, affidamento dei figli, collocazione dei figli minori, assegnazione della casa coniugale, tempi e modalità di permanenza dei figli presso l’altro genitore non collocatario ecc.). I provvedimenti provvisori ed urgenti sono esecutivi durante lo svolgimento della causa e sono sempre modificabili, revocabili o appellabili;
2) deciderà sulle istanze istruttorie: quindi valuta le prove, e valuterà, ad esempio se sentire, o meno, dei testimoni, se far fare ad uno psicologo di sua fiducia (Consulente Tecnico d’Ufficio c.d. CTU) una consulenza per comprendere quale sia il genitore più idoneo a stare con i figli o potrà decidere di nominare un Consulente per esaminare i redditi/guadagni dei coniugi o che si presume non siano stati dichiarati, potrà decidere se far fare una indagine fiscale alla Polizia tributaria (Guardia di Finanza) ecc.. Le indagini espletate saranno valide sia per le decisioni relative alla separazione che per il divorzio quindi le parti guadagnano tempo e con una sola istruttoria ottengono entrambe le decisioni per arrivare ad una sentenza cumulativa che regolamenti entrambe le fasi.
Divorzio: quali documenti bisogna reperire o conservare per il calcolo assegno
Non esiste un elenco assoluto di documenti da depositare obbligatoriamente in giudizio al fine della determinazione dell’assegno di mantenimento.
Negli ultimi anni molti Tribunali stanno creando dei cosiddetti “modelli di disclosure” ossia un elenco di documentazione che i coniugi devono produrre nel divorzio contenzioso (fra tutte le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni) oltre ad una serie di autocertificazioni elative a proprietà immobiliari, conti correnti e – più in generale – alla propria condizione economica.
Nel momento in cui ci apprestiamo ad affrontare un divorzio giudiziale, comunque, dobbiamo comprendere che sarà un vantaggio agire d’anticipo così da poter subito documentare le spese della famiglia (sia quelle periodiche che quelle estemporanee) e dare un principio di prova del il patrimonio dell’ex.
A titolo esemplificativo potrebbero essere utili:
- fatture di acquisti, scontrini, bollette delle utenze ecc.;
- eventuali estratti conti correnti italiani o esteri;
- estratti conto titoli e documentazione attestante investimenti finanziari, azionari o obbligazionari;
- polizze assicurative sulla vita o a capitalizzazione;
- documentazione attestante proprietà immobiliari anche all’estero o di altri beni fruibili (automobili, barche, gioielli, quadri ecc.);
- contratto di lavoro, buste paghe, benefits percepiti dall’azienda, partecipazioni societarie e relativi bilanci;
- contratti di locazione;
- contratti di assunzione dipendenti o collaboratori, anche domestici.
Nel caso in cui non fosse possibile avere a disposizione questa ingente documentazione diventa importante definire fin da subito con il proprio Avvocato la strategia della causa e, con essa, le richieste istruttorie da avanzare al Giudice così da poter ottenere l’ordine di esibizione di tutta la documentazione ritenuta importante o l’espletamento di indagini patrimoniali.
Nel divorzio giudiziale, infatti, il primo atto che la parte deposita (sia esso il ricorso o la comparsa di costituzione/memoria difensiva) diventa di vitale importanza per la determinazione dei provvedimenti provvisori all’esito della prima udienza i quali, poi, potrebbero indirizzare tutta la causa. Questa necessità potrebbe addirittura anticiparsi al momento della proposizione della richiesta di separazione dove è possibile contestualmente avanzare anche la domanda di divorzio.
In questo caso fin dal primissimo atto si dovranno dedurre tutte le domande e le prove per entrambe le fasi di separazione e successivo divorzio.
Assegno di divorzio: quali indagini si possono chiedere per individuare patrimonio del coniuge (moglie marito)
Nel divorzio giudiziale (ma anche in quello consensuale per quanto riguarda la fase delle trattative) quando le parti devono trattare la questione dell’assegno divorzile è molto importante svolgere un lavoro preventivo di determinazione della situazione economica propria e dell’altro coniuge.
Per tutelare al meglio i diritti di ciascun coniuge, infatti, per gli Avvocati potrebbe essere necessario effettuare indagini patrimoniali approfondite e poter esaminare documentazione molto più settoriale rispetto alla semplice dichiarazione dei redditi.
Per svolgere queste indagini talvolta occorre rivolgersi a Professionisti del settore che permettono di esaminare l’entità patrimoniale di moglie e marito e di suggerire le modalità migliori per reperire le notizie necessarie (soprattutto, per esempio, in caso di presenza di beni all’estero o dell’esistenza di società in grado di far “girare” il denaro).
In questi casi rivolgersi ad uno Studio legale specializzato in diritto di famiglia che sappia indirizzare il proprio assistito verso la migliore strategia processuale può essere la chiave di volta per un buon esito della causa.
In ogni caso, anche quando la parte non riesce a procedere in autonomia, è opportuno sapere che negli ultimi anni i Giudici del divorzio hanno acquisito molto potere istruttorio e possono ordinare, per esempio:
- deposito di svariata documentazione fiscale o patrimoniale (sia direttamente alla parte che a terzi, come il datore di lavoro o addirittura le banche, sia in Italia che all’estero);
- indagini di polizia tributaria (anche con rogatorie internazionali);
- consulenze tecniche contabili;
- accesso alle banche dati dell’Agenzia delle entrate.
Come determinare l’assegno divorzile: a cosa serve CTU contabile
La Consulenza tecnica d’ufficio contabile è un mezzo di prova che può essere ammesso durante la causa di divorzio giudiziale per aiutare il Giudice a determinare la condizione economico-patrimoniale dei coniugi e, di conseguenza, l’assegno divorzile.
Il Giudice nomina un esperto contabile (commercialista o ragioniere o revisore dei conti a seconda della necessità), per esaminare tutta la documentazione (soprattutto quella fiscale e bancaria) e riuscire a comprendere quanto sia l’attivo patrimoniale di moglie e marito.
La consulenza può essere ammessa d’ufficio dal Giudice istruttore oppure può essere chiesta dalle parti, in questo caso però il Giudice non è obbligato ad ammetterla perché può anche ritenere sufficienti le prove già presenti in giudizio.
Quando l’Avvocato della moglie o del marito chiede l’ammissione della CTU deve fare un’istanza circostanziata e precisa perché, in mancanza, c’è il rischio che il Tribunale rigetti la richiesta in quanto esplorativa e generica.
Divorzio e assegno: istanza di accesso agli atti presso Agenzia Entrate
L’accesso agli atti presso l’Agenzia delle Entrate è una delle possibili indagini che il Tribunale può ordinare di svolgere per individuare la situazione economica dei coniugi durante il giudizio di divorzio al fine di calcolare l’assegno divorzile.
Il Giudice istruttore, d’ufficio o su istanza di parte, può chiedere all’Agenzia delle entrate di concedere l’accesso alle proprie banche dati per recuperare dati economici rilevanti a fini patrimoniali.
Tendenzialmente l’accesso viene effettuato dalla Polizia tributaria ma il Giudice può ordinare anche depositi documentali.
Assegno divorzile: cosa succede se il coniuge intesta i suoi beni ad altri
Quando due coniugi arrivano al divorzio, soprattutto se giudiziale, solitamente hanno già affrontato tese trattative, o una causa giudiziale più o meno lunga, per giungere alla definizione degli aspetti patrimoniali della separazione.
La fase di divorzio, però, può rimettere tutto in gioco perché l’assegno divorzile si basa su presupposti diversi (su tutti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e lo squilibrio economico sorto a seguito dell’unione matrimoniale) rispetto al contributo al mantenimento deciso durante la separazione.
Il divorzio, inoltre, rispetto alla separazione regola gli assetti economici per un periodo più lungo, potenzialmente anche definitivo, quindi moglie e marito vogliono sempre ottenere il risultato migliore.
Per tutti questi motivi moglie o marito potrebbero essere invogliati ad “occultare” alcuni beni al fine di far risultare una disponibilità economica più limitata e poter pagare un assegno divorzile inferiore.
Possiamo dire che nel caso in cui questi cambi di intestazione siano solo “finti” ovvero unicamente nominali dato che l’uso e le utilità del bene restano a favore del coniuge, la modifica è generalmente irrilevante e il Tribunale dovrebbe considerare quel bene nella valutazione patrimoniale complessiva.
Se la moglie o il marito, invece, iniziano a dilapidare denaro oppure a liberarsi in maniera reale di beni dal valore rilevante è opportuno che l’altro si tuteli svolgendo azioni cautelari o ipotecarie.
Determinazione dell’assegno divorzile se coniuge (moglie/marito) è lavoratore dipendente
Quando la parte che dovrebbe pagare l’assegno divorzile è un lavoratore dipendente il riferimento principale che sarà esaminato dal Tribunale, o che sarà considerato nelle trattative per un divorzio consensuale, è il CUD degli ultimi tre anni, ossia la dichiarazione fiscale che attesta lo stipendio percepito.
Il dato dello stipendio mensile è il punto di partenza ma non l’unico perché la valutazione della situazione economica deve comprendere anche gli eventuali ulteriori averi della parte (case di proprietà, case in locazione, patrimonio in denaro ecc.) così come tutte le spese che deve sostenere.
Dobbiamo sempre considerare, comunque, che un lavoratore dipendente potrebbe avere bonus, benefits, premi di produzione, stock options che hanno un notevole valore patrimoniale ma potrebbero non comparire nella mera dichiarazione fiscale.
Per questo è sempre opportuno svolgere richieste istruttorie complete per fare in modo che la controparte non produca in giudizio documentazione parziale, che non è veritiera dell’effettivo stato patrimoniale.
Determinazione dell’assegno divorzile se coniuge (moglie/marito) è lavoratore autonomo
Nel caso in cui il coniuge che dovrebbe pagare l’assegno divorzile sia un lavoratore autonomo per stabilire la capacità patrimoniale è necessaria prima di tutto la produzione in giudizio delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni (che contiene anche la valutazione dell’intero patrimonio della persona come la proprietà di case o beni di lusso ecc.).
La determinazione, in questi casi, potrebbe essere effettuata sulla base di una proiezione mensile degli utili annuali che comprendano l’universalità del patrimonio dichiarato e non solo i redditi da lavoro.
La situazione economica di un lavoratore autonomo rischia di essere più complicata da individuare soprattutto se c’è il pericolo che il coniuge svolga lavoro “in nero” o comunque non dichiari tutto quello che guadagna.
In questo caso un’indagine patrimoniale è senza dubbio decisiva unitamente ad una strategia processuale pensata per dimostrare al Giudice che le somme dichiarate fiscalmente non sono del tutto veritiere.
A titolo esemplificativo, il coniuge richiedente ed il suo Avvocato potrebbero rilevare in atti l’eventuale presenza di immobili di valore o automobili e altri beni di pregio non dichiarati, oppure potrebbero dettagliare le ingenti spese sostenute dalla controparte.
Questi dati sarebbero utili per far presupporre al Tribunale uno stile di vita molto più agiato rispetto a quello che sarebbe possibile con i ricavi estraibili dai dati fiscali “ufficiali” e, quindi, portare il Giudice ad ammettere indagini patrimoniali approfondite oppure ispezioni ed ordini di esibizione di documentazione extra.
Divorzio e lavoro nell’impresa familiare: rapporto nel calcolo dell’assegno divorzile
Quando la parte che chiede l’assegno divorzile, nella maggior parte dei casi la moglie, fa parte dell’impresa familiare e, da questa, percepisce utilità economiche (stipendio o dividendi o utili) la circostanza deve essere valutata ai fini della determinazione dell’assegno.
La somma subirà, tendenzialmente, un ribasso dati i benefici patrimoniali che il richiedente percepisce da parte dell’impresa.
Assegno divorzile ed aspetti fiscali: detrazioni e tassazione
L’assegno divorzile versato in forma periodica (di solito mensile) è considerato al come se fosse reddito da lavoro dipendente.
La somma riconosciuta in fase di divorzio, quindi, è al lordo delle tasse. Questo significa che il netto che il coniuge beneficiario dell’assegno effettivamente percepirà sarà inferiore.
Questo aspetto dovrebbe essere considerato dalla parte richiedente e dal suo Avvocato nel momento in cui si stabilisce la somma da chiedere.
Dall’altro lato, il coniuge che versa l’assegno all’ex può dedurlo dalle tasse.
Sono considerati come se fossero assegni divorzili anche i contributi relativi al pagamento dell’affitto dell’ex o delle spese condominiali della casa in cui l’altro vive.
L’importo pagato come assegno divorzile una tantum, invece, non è detraibile in fase di dichiarazione dei redditi.
Divorzio: qual è la tassazione degli arretrati dell’assegno
Ci sono dei casi in cui la parte obbligata al versamento dell’assegno, per svariati motivi, non paga il dovuto entro le scadenze stabilite dalla sentenza di divorzio.
In questi casi il coniuge beneficiario matura i cosiddetti “arretrati” che devono essere versati appena possibile.
Nel momento in cui il coniuge paga gli arretrati può portarli in detrazione fiscale anche se versati tutti in un’unica soluzione.
Il coniuge che percepisce il pagamento, però, deve dichiarare l’intera somma nell’anno fiscale non potendo usufruire della c.d. tassazione separata.
Divorzio: detrazione in caso di figli a carico
Gli importi pagati dopo il divorzio per il mantenimento dei figli non possono essere dedotti dal reddito del genitore che li versa e, di conseguenza, non sono inclusi nel reddito del coniuge che li riceve.
Resta invariata la disciplina delle detrazioni per figli a carico anche dopo lo scioglimento del matrimonio: possono essere indicate nelle dichiarazioni dei redditi anche al 50% a favore di ciascun genitore oppure integralmente per di uno dei due.
Calcolo rivalutazione ISTAT assegno divorzile al coniuge (moglie o marito)
L’assegno divorzile per l’ex coniuge deve prevedere una rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati), ciò permette di adeguare la somma al costo della vita senza dove ricorrere costantemente in Tribunale per chiedere aumenti.
L’adeguamento è obbligatorio e deve essere calcolato anche se, per errore o dimenticanza, non è riportato nella sentenza di divorzio. Se annualmente il coniuge obbligato non procede ad adeguare la cifra, il beneficiario può recuperare il credito automaticamente con un precetto seguito da un pignoramento (bloccando il conto corrente o prelevando forzosamente parte dello stipendio).
Nel caso in cui nella sentenza non sia indicato nulla si applica d’ufficio l’indice ISTAT, in ogni caso dobbiamo precisare che negli ultimi anni sono stati ammessi anche adeguamenti “diversi” dal predetto indice sulla base delle richieste caso per caso fatte delle parti, quali:
- adeguamenti basati sulla rivalutazione di monete estere, se uno dei due vive fuori dall’Italia;
- adeguamenti basati su percentuali pre-concordate (ad esempio fin da subito i coniugi decidono che sull’assegno verrà applicato un adeguamento del 3% annuo).
A differenza dell’adeguamento secondo gli indici ISTAT, queste formule alternative devono essere precisate nella sentenza altrimenti non possono essere applicate automaticamente e non si può procedere subito al recupero del credito in caso di mancato pagamento, dovendo fare una causa ordinaria.
Divorzio: calcolo rivalutazioni dell’assegno secondo monete estere e secondo adeguamenti diversi da ISTAT
La rivalutazione dell’assegno divorzile (ma nello stesso modo avviene per l’assegno riconosciuto in fase di separazione o in favore dei figli) è una modalità di aumento automatica della somma che deve essere versata all’ex coniuge, rispetto al costo della vita, che cambia nel corso degli anni.
Il parametro di adeguamento standard previsto nel nostro paese è l’indice ISTAT (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati). Ultimamente, però, i Tribunali hanno ammesso con frequenza la possibilità che la sentenza di divorzio (sia congiunto che giudiziale) preveda un assegno divorzile adeguato secondo percentuali difformi.
Le modalità di adeguamento alternative più frequenti sono, a titolo esemplificativo:
- inflazione di un paese estero, possibile per esempio se l’ex coniuge beneficiario si deve trasferire;
- cambio corrente tra euro ed una moneta estera, possibile per esempio se uno dei due ex vive nel paese straniero o se l’assegno è parametrato sulla base di investimenti patrimoniali esteri;
- adeguamento secondo una percentuale concordata tra le parti, possibile per esempio se i due ex coniugi stabiliscono, anche senza un’evidente motivo, che l’assegno sia aumentato ogni anno del 2% o 3%.
Dobbiamo stare molto attenti, in questi casi, al fatto che l’adeguamento in base agli indici ISTAT è previsto dalla legge mentre gli altri tipi di adeguamento no. Questo significa che mentre il primo si applica automaticamente anche se la sentenza di divorzio non lo indica, i secondi devono essere specificati nella sentenza perché, in mancanza, non avremmo i necessari strumenti per mettere in esecuzione il provvedimento in caso di mancato pagamento.
Poniamo, per esempio, che le parti decidano che l’assegno divorzile debba essere adeguato ogni anno del 2% ma non tale condizione non viene riportata nella sentenza di divorzio. Se l’ex marito versa l’assegno ma, dopo un anno, non procede con l’aumento, l’ex moglie non potrà fare un precetto per poi pignorargli il conto corrente, ma dovrà fare una causa ordinaria di accertamento (impiegando molto tempo e molto denaro per farsi riconoscere gli arretrati non versati).
Modifica dell’assegno di divorzio (aumento/diminuzione): requisiti, presupposti, procedura
Dopo la sentenza di divorzio possono verificarsi fatti che hanno ripercussioni sull’assegno divorzile. In questi casi l’ex coniuge che ha interesse (o entrambi) può ricorrere al Tribunale per ottenere una modifica (aumento o diminuzione o cessazione).
La legge prevede che per la modifica delle condizioni di divorzio, tra le quali può esserci appunto l’assegno, deve essere provata l’insorgenza di giustificati motivi, relativi alla situazione personale o patrimoniale di uno degli ex coniugi.
Tra le casistiche che possono comportare una riduzione dell’assegno troviamo, per esempio:
- peggioramento della condizione economica di chi paga l’assegno (perdita del lavoro, pensionamento, diminuzione dei redditi, cessazione aiuti da parte di familiari, nuova famiglia o nascita di un figlio);
- miglioramento della condizione economica del beneficiario (aumento di stipendio, ricevimento aiuti da parte di familiari, godimento di una rendita vitalizia, nomina di erede).
Tra le casistiche che possono comportare un aumento dell’assegno troviamo, per esempio:
- peggioramento della condizione economica del beneficiario (perdita del lavoro, diminuzione dei redditi, cessazione aiuti da parte di familiari, aumento documentato delle spese, perdita della casa, sopraggiungere di una malattia);
- miglioramento della condizione economica dell’obbligato (aumento di stipendio, ricevimento aiuti da parte di familiari, godimento di una rendita vitalizia, nomina di erede).
Tra le casistiche che possono comportare una cessazione dell’assegno troviamo, per esempio:
- nuove nozze del coniuge beneficiario;
- nuova convivenza del coniuge beneficiario;
- drastico peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato che lo porta a non poter fronteggiare al pagamento;
- eccezionale miglioramento economico del beneficiario;
- morte del coniuge obbligato.
La parte che ha interesse ad aumentare l’assegno percepito, a ridurre (fino ad eliminare) l’importo pagato o – semplicemente – ad apportare modifiche nella tipologia di versamento, deve dimostrare al Giudice il cambiamento dello stato dei fatti. In mancanza di questa prova la domanda è tendenzialmente rigettata dal Tribunale.
Il procedimento per modificare le condizioni di divorzio si introduce con ricorso al Tribunale competente (solitamente quello che ha pronunciato il divorzio stesso) e può essere giudiziale, se presentato solo da un ex coniuge, o consensuale, se presentato da entrambi.
La causa può avere una durata variabile che dipende dal grado di conflittualità tra ex moglie ed ex marito, dalle prove che devono essere ammesse o dall’eventuale accordo sui cambiamenti da introdurre. Il procedimento può essere svolto anche con le modalità alternative della negoziazione assistita o dinanzi all’Ufficiale di Stato civile del comune di residenza di uno dei coniugi.
Le condizioni della sentenza di divorzio, quindi, non possono ritenersi definitive ma talvolta variano in funzione dei cambiamenti della situazione delle parti rispetto al momento del divorzio.
Diminuzione dell’assegno divorzile: requisiti, presupposti, procedura
La diminuzione dell’importo dell’assegno divorzile può essere frutto dell’accordo tra i coniugi oppure di una causa giudiziale, nella quale deve essere provata la modifica essenziale di una delle condizioni che ha portato il Tribunale a riconoscere l’assegno ed a quantificarlo in quel modo.
Il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge obbligato è una delle maggiori cause che statisticamente comportano la richiesta di modifiche dell’assegno divorzile.
In un periodo segnato da un grande sconvolgimento economico, come la crisi bancaria dei primi anni duemila o l’emergenza economico-sanitaria dovuta al Coronavirus, molti ex coniugi che versano un assegno divorzile (sono maggiori in numero gli ex mariti) possono trovarsi nella condizione di temere di non poter provvedere al pagamento.
Possiamo precisare che la mera esistenza di un’accertata crisi economica non comporta un’automatica riduzione dell’assegno di mantenimento. L’ex marito che ha interesse a diminuire l’assegno deve agire in giudizio per dimostrare che la sua diretta situazione patrimoniale sia peggiorata (producendo – per esempio – dichiarazioni dei redditi, lettera di licenziamento, comunicazione della Cassa integrazione, estratti conto ecc.).
Se il coniuge obbligato riesce a dimostrare l’impossibilità di pagare qualsiasi contributo, può anche ottenere l’eliminazione dell’assegno.
In ogni caso la persona che versa l’assegno non dovrà mai agire d’impulso smettendo di pagare la somma senza prima ottenere una modifica ufficiale del Tribunale alla sentenza di divorzio. In questo caso, infatti, il beneficiario potrà agire per il recupero del credito arrivando a bloccare il conto correte, lo stipendio finanche a pignorare l’eventuale casa di proprietà.
La diminuzione dell’assegno può essere chiesta, ad esempio, anche perché il coniuge obbligato si risposa o inizia una convivenza more uxorio o ha un figlio da parte di un’altra persona ecc.: in questi casi, infatti, la presenza di un nuovo nucleo familiare può comportare un aumento delle spese e la conseguente impossibilità di continuare a versare all’ex gli stessi importi di prima.
Di pari passo, il miglioramento delle condizioni economiche del coniuge che riceve l’assegno divorzile può portare ad una riduzione dell’importo o all’eliminazione dello stesso. Ciò può accadere per esempio perché il beneficiario trova un lavoro o perché riduce alcune spese fisse che influivano sul suo budget mensile (come l’estinzione del mutuo) o perché inizia una nuova relazione che lo supporta economicamente.
Dobbiamo sempre ricordare che in tutti questi casi la diminuzione non è automatica ma deve essere dimostrata in Tribunale e ratificata con un apposito procedimento consensuale o giudiziale.
Quando è possibile eliminare l’obbligo di corresponsione (pagamento) dell’assegno di divorzio | Quando si perde il diritto all’assegno di divorzio (nuove nozze, nuova convivenza ecc.)
Per eliminare l’obbligo di pagare l’assegno di divorzio devono sopraggiungere giustificati motivi tali da stravolgere la situazione sussistente al momento della pronuncia della sentenza.
Solitamente l’eliminazione dell’assegno avviene in caso di:
- nuove nozze del coniuge beneficiario (causa che la legge stabilisce non solo come motivo di cessazione dell’assegno divorzile ma come causa che fa perdere il diritto di riceverlo da quell’ex coniuge);
- nuova convivenza del coniuge beneficiario (anche se la giurisprudenza è in contrasto e bisogna valutare il caso specifico);
- drastico peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato che lo porta a non poter fronteggiare al pagamento;
- eccezionale miglioramento delle condizioni economiche del beneficiario;
- morte del coniuge obbligato.
Il procedimento per modificare le condizioni di divorzio si introduce con ricorso al Tribunale competente (solitamente quello che ha pronunciato il divorzio stesso) e può essere giudiziale, se presentato solo da un ex coniuge, o consensuale, se presentato da entrambi.
Pagamento parziale o mancato pagamento dell’assegno di divorzio per l’ex coniuge (moglie o marito)
Quando il coniuge obbligato non paga l’assegno divorzile, o lo paga solo parzialmente, il beneficiario può immediatamente agire per il recupero della somma.
La parte dovrà rivolgersi ad un Avvocato specializzato in diritto di famiglia per spedire all’ex una lettera di messa in mora.
Successivamente, nel caso in cui l’obbligato continuasse a non pagare, l’Avvocato potrà procedere con un precetto ed il relativo recupero del credito tramite esecuzione sui beni dell’obbligato, iniziando un pignoramento dello stipendio, del conto corrente, della casa o di altri beni mobili e immobili di proprietà della controparte.
È molto importante che la parte interessata agisca con tempestività perché il diritto a chiedere gli arretrati dell’assegno divorzile non pagato si prescrive in cinque anni dall’ultimo pagamento effettuato.
Mancato pagamento della rivalutazione ISTAT dell’assegno di divorzio per l’ex coniuge (moglie o marito)
Quando il coniuge obbligato non paga l’aggiornamento dell’assegno divorzile secondo la rivalutazione ISTAT (o secondo la diversa rivalutazione indicata in sentenza), il beneficiario si può agire direttamente per il recupero del credito.
La parte dovrà rivolgersi ad un Avvocato specializzato in diritto di famiglia per spedire all’ex una lettera di messa in mora.
Successivamente, nel caso in cui l’obbligato continuasse a non pagare, l’Avvocato potrà procedere con un precetto ed il relativo recupero del credito tramite esecuzione sui beni dell’obbligato, iniziando un pignoramento dello stipendio, del conto corrente, della casa o di altri beni mobili e immobili di proprietà della controparte.
È molto importante che la parte interessata agisca con tempestività perché il diritto a chiedere gli arretrati dell’assegno divorzile non pagato si prescrive in cinque anni dall’ultimo pagamento effettuato.
Pagamento parziale o mancato pagamento dell’assegno di mantenimento per i figli, dell’aggiornamento ISTAT o delle spese straordinarie
Per una visione più approfondita degli obblighi relativi ai figli rimandiamo al relativo articolo.
In ogni caso cogliamo l’occasione fin da ora per chiarire che la procedura per il recupero in caso di mancato pagamento o versamento parziale dell’assegno di mantenimento per i figli o del suo adeguamento ISTAT, è la stessa dell’assegno divorzile in favore del coniuge.
Il recupero delle spese straordinarie, invece, può non essere “facilitato” come quello dell’assegno.
Le spese straordinarie non sono determinate nella sentenza di divorzio, quindi potrebbe essere necessario iniziare una causa ordinaria per l’accertamento dell’effettivo credito.
In ogni caso, seppur con un procedimento più lungo, se si conservano ricevute e scontrini la causa dovrebbe essere di spedita e pronta soluzione ed il Giudice, solitamente, provvede ad accogliere la richiesta di recupero disponendo la relativa condanna al pagamento del dovuto a titolo di rimborso.
Prescrizione del diritto e interruzione della prescrizione-lettera di messa in mora
Il diritto di ottenere il pagamento di un assegno divorzile (versato in maniera periodica) non pagato, si prescrive in 5 anni a decorrere da ciascuna scadenza.
Il beneficiario, con l’assistenza di un Avvocato, deve inviare una lettera di messa in mora per “avvertire” il soggetto obbligato che, in mancanza del pagamento del dovuto, ha intenzione di agire giudizialmente.
Tecnicamente si dice che la lettera di messa in mora ha effetti interruttivi sulla prescrizione: questo non significa che spedire la lettera di messa in mora permette per sempre di recuperare gli arretrati. Il diritto si prescriverà se il beneficiario non agirà entro ulteriori 5 anni dal ricevimento dell’avviso.
Come si calcolano gli interessi sull’assegno divorzile non pagato (scadenza decorrenza interessi)
Quando l’ex coniuge obbligato non paga l’assegno divorzile entro la scadenza stabilita nella sentenza di divorzio (o lo paga solo parzialmente), sulla somma non versata maturano gli interessi legali.
Il calcolo degli interessi dovuti avviene moltiplicando la somma non pagata mese per mese, per il coefficiente di interesse legale fissato dal Ministro del Tesoro (di solito anno per anno) con decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Procedura in caso di mancato pagamento dell’assegno divorzile | Diffida con Avvocato, precetto e pignoramento
Quando l’ex coniuge non riceve il pagamento dell’assegno divorzile o quando l’obbligato non provvede al pagamento di determinate spese a suo carico, la parte interessata a recuperare il credito con un’immediata azione esecutiva.
L’ex deve rivolgersi ad un Avvocato che deve inviare una diffida (o lettera di messa in mora) per poi, in caso di mancato pagamento, notificare un precetto che intimi l’obbligato a pagare entro dieci giorni.
Se l’obbligato non paga, l’Avvocato del beneficiario può eseguire il provvedimento di divorzio e procedere con un pignoramento.
Il pignoramento può riguardare:
- beni immobili, un classico esempio è la vendita all’asta della casa di proprietà dell’ex;
- beni mobili ad esempio la vendita di oggetti di valore di proprietà dell’ex;
- beni presenti “presso terzi” che comporta, per esempio, il blocco del conto corrente in banca o il versamento di parte dello stipendio o della pensione direttamente al beneficiario.
La procedura in questi casi è molto più veloce perché non è necessario il preventivo intervento del Giudice per accertare l’effettivo credito.
Mancato pagamento dell’assegno divorzile o di altre spese: decreto ingiuntivo o causa ordinaria
Quando l’ex coniuge obbligato non paga l’assegno divorzile non conviene al beneficiario procedere con un decreto ingiuntivo o con una causa ordinaria.
La procedura esaminata nel paragrafo precedente che prevede la diffida, il precetto ed il pignoramento permette un recupero del credito più veloce ed efficace. L’assegno divorzile, infatti, è già determinato certamente nel suo importo nella sentenza di divorzio che consiste – di per sé – in un titolo esecutivo.
Quando, invece, la parte obbligata deve pagare spese straordinarie o altre tipologie di costi non determinati nel loro esatto ammontare dalla sentenza di divorzio, il creditore è costretto ad azionare una causa di accertamento ordinaria perché il Giudice deve stabilire la certezza degli importi dovuti (solitamente sono cause che non durano molto laddove ci sono delle prove documentali delle spese sostenute).
Consideriamo, per esempio, che nella sentenza di divorzio sia indicato che l’ex coniuge dovrà rimborsare i costi relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria della casa familiare. In questo caso, nel momento in cui l’obbligato non provvede a pagare gli importi dovuti, perché li contesta, l’altra parte dovrà fargli causa.
Dopo l’emissione della sentenza il beneficiario può procedere con precetto e procedura esecutiva.
In taluni casi invece della causa ordinaria, la parte interessata può agire chiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo.
Mettiamo il caso, per esempio, che nella sentenza di divorzio l’ex sia obbligato a rimborsare alcune spese mediche già stabilite.
In caso di mancato pagamento, il beneficiario che possiede una fattura potrà chiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo con l’assistenza di un legale.
La procedura è semplificata, rispetto alla causa ordinaria, perché il decreto ingiuntivo viene emesso dai Giudici in maniera celere e senza un contraddittorio. L’altra parte può opporsi anche se, nel caso di spese documentate e stabilite nella sentenza di divorzio, potrebbe rivelarsi una strategia processuale dal difficile esito positivo.
Divorzio: mancato pagamento dell’assegno ed eventuali conseguenze penali
Il mancato pagamento – anche parziale – dell’assegno divorzile può configurare un reato nel caso in cui vengano fatti mancare i mezzi di sussistenza al coniuge. La pena prevede la reclusione fino a un anno o la multa da 103 a 1.032 Euro.
L’omissione del versamento è considerata più grave se ci sono anche dei figli.
Il Tribunale deve verificare se il mancato pagamento dell’assegno fa venir meno i mezzi di sopravvivenza all’ex coniuge (o ai figli). La valutazione riguarderà anche la durata nel tempo dei mancati pagamenti, o se si tratta di lievi ritardi e riduzioni parziali.
Dall’altra parte il Giudice dovrà considerare anche la situazione della famiglia nel suo complesso. Se il beneficiario (ed i figli), per esempio, ha altri redditi, potrebbero non esserci gli estremi penali per procedere contro il mancato versamento.
Divorzio e garanzie patrimoniali sull’assegno: quali sono i modi per tutelare l’assegno di mantenimento (ipoteca giudiziale, volontaria e sequestro)
Quando c’è un evidente sospetto che l’obbligato può smettere di versare l’assegno di divorzio (ad esempio perché vende molti beni di proprietà o smette inspiegabilmente di lavorare, tutte cose che fanno dubitare della possibilità di continuare a versare una somma mensile, magari elevata), il beneficiario ha diversi strumenti a disposizione mediante i quali assicurarsi il rispetto dei propri diritti.
In caso di fallimento dell’impresa che fa capo all’ex coniuge che versa l’assegno, ad esempio, si può chiedere che vengano effettuati dei sequestri conservativi per “bloccare” l’utilizzo dei beni e successivamente pignorarli, a garanzia del proprio credito.
Esiste poi un ulteriore strumento che il beneficiario dell’assegno può utilizzare: si tratta dell’iscrizione di ipoteca (sia giudiziale che volontaria, ossia chiesta dall’obbligato).
L’iscrizione può essere applicata sia sui beni disponibili, nel momento in cui viene emessa la sentenza di divorzio, sia su quelli che il debitore acquista in una fase successiva.
Si tratta di una pratica applicabile non solo in caso di divorzio giudiziale, ma anche in caso di divorzio consensuale. L’iscrizione è esente da imposta ipotecaria, ma è bene sapere che se i presupposti vengono meno, il coniuge debitore potrà chiedere al Giudice la cancellazione dell’ipoteca o una riduzione della somma ipotecata.
Non costituiscono titolo per l’iscrizione di ipoteca i provvedimenti temporanei e urgenti che il Giudice emette in attesa della sentenza di divorzio giudiziale, dopo la prima udienza.
Cosa succede all’assegno divorzile in caso di fallimento dell’obbligato
Il fallimento – dopo il divorzio – del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile può creare notevoli problemi al beneficiario perché rischia di non ricevere i pagamenti.
La disciplina cambia a seconda che i crediti non pagati siano già scaduti oppure siano maturati dopo il fallimento:
- le mensilità scadute prima della dichiarazione di fallimento sono crediti che permettono l’insinuazione al passivo da parte dell’avente diritto (si chiamano crediti concorsuali). Gli ultimi tre mesi di arretrato, inoltre, entrano a far parte dei crediti privilegiati cioè quei crediti che possono essere soddisfatti prima degli altri;
- per le mensilità maturate successivamente alla dichiarazione di fallimento, il beneficiario non avrà titolo per insinuarsi al passivo. Quindi il suo diritto ad ottenere il pagamento rimane “latente” perché non può essere soddisfatto fino al termine delle procedure fallimentari.
Divorzio: fallimento ex coniuge imprenditore / socio
Il fallimento dell’ex coniuge imprenditore obbligato al pagamento dell’assegno di mantenimento può non incidere direttamente sul pagamento.
Se l’obbligato è socio di una società per azioni o di una società di capitali, il fallimento della società è poco rilevante, ai fini dell’assegno di divorzile, perché non andrebbe a toccare il patrimonio personale dell’ex.
Le società di capitali, infatti, prevedono una separazione tra il patrimonio personale dei soci e quello della società.
L’ex coniuge fallito, quindi, dovrebbe con ogni probabilità continuare a pagare l’assegno a meno che non riuscisse a provare una diminuzione dei propri redditi in stretto collegamento al fallimento.
Nel caso in cui l’ex coniuge fosse titolare di una piccola impresa individuale o socio di una società di persone (snc, sas ecc.) il fallimento coinvolgerebbe anche il suo patrimonio personale provocando una diminuzione dei redditi molto più evidente, che potrebbe andare ad incidere sull’obbligazione di versamento dell’assegno divorzile.
Il beneficiario, quindi, potrebbe subire una diminuzione dell’assegno divorzile o, addirittura, la cancellazione dello stesso.
Divorzio: fallimento ex coniuge lavoratore dipendente
Nel caso in cui l’obbligato a versare l’assegno divorzile fosse un lavoratore dipendente, il fallimento coinvolgerebbe il suo patrimonio personale provocando una diminuzione dei suoi redditi agevolmente provabile in causa che potrebbe andare ad incidere sull’obbligazione mensile.
Il beneficiario, quindi, potrebbe subire una diminuzione dell’importo fino, addirittura, alla cancellazione dello stesso.
Quando il fallito percepisce redditi da lavoro, però, questi possono rimanere nella sua disponibilità e non finire nella massa fallimentare per la misura di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia. La valutazione è a carico del Giudice delegato nel fallimento quindi l’ex coniuge beneficiario potrebbe continuare a percepire la somma dovutagli.
Assegno divorzile: morte dell’ex coniuge obbligato
Quando dopo, il divorzio, muore l’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno, il beneficiario ha diritto a ricevere la pensione di reversibilità del defunto.
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