Il ruolo della Svizzera nella Seconda Guerra Mondiale
In attesa di controllo, per contrastare l’ingresso a sabotatori ed elementi di provocazione.
Protetti dalle armi dell’Esercito svizzero, neutrale ma non per questo meno determinato a difendere i confini della Patria da qualsiasi aggressione: un esercito animato pure dallo spirito umanitario di Henry Dunant,
il fondatore ginevrino della Croce Rossa Internazionale.
Ora gli scampati allo sterminio sono al sicuro, rifocillati e curati sotto l’usbergo dello scudo rossocrociato elvetico.
Durante la seconda guerra mondiale la “difesa spirituale” permise agli Svizzeri di vigilare sempre sui passi del nemico. Un nemico frontale, che prometteva, formalmente, invasioni dal nord germanico e dal sud italiano. Una difesa che nasceva dal cuore, dall’amore per la propria terra, dalla voglia di rimanere amici di tutti ma sovrani in casa propria.
L’Esercito elvetico vigila e protegge i profughi dalle aggressioni nazifasciste.
La via verso la salvezza di due bimbi entrati in Svizzera attraverso il varco del Gaggiolo (tra Varese ed il Canton Ticino), che segnava la linea di demarcazione tra la atrocità dei “nuovi barbari” italiani, come li aveva definiti Luigi Einaudi, primo futuro presidente della Repubblica italiana, pure Lui rifugiato in Svizzera, riferendosi ai suoi concittadini, e la civiltà dell’Elvezia.
I bimbi hanno già ottenuto il passaporto della Croce Rossa Internazionale. previsto per gli apolidi, ma si leggono sul volto la preoccupazione ed il sospetto, dopo le terribili esperienze subite in Italia, a seguito delle persecuzioni razziali.
Torna il sorriso, finalmente liberi e spensierati, nonostante, sullo sfondo, si percepisca lo scenario di guerra !
Terminata la guerra, scampato il pericolo, dopo essere stati sfamati, curati e difesi dalla barbarie nazifascista, senza pagare alcunché, alcuni scampati al massacro, o loro familiari, alzarono accuse contro il comportamento della Svizzera durante la II Guerra mondiale.
Costoro, dunque, non rivolsero richieste di risarcimento contro l’Italia e la Germania che li avevano discriminati e deportati con le leggi razziali, e financo neppure contro quest’ultima che aveva commesso contro di loro il genocidio, l”l’Olocausto”.
Ci furono invece accuse contro la Svizzera di eccessiva prudenza, di ambiguità, di opportunismo, dimenticando che questo piccolo Paese,circondato dai belligeranti e senza risorse alimentari, dopo aver dato asilo, per anni, a quasi mezzo milione di profughi stremati, aveva un primario obbiettivo: salvare la propria gente e la propria secolare indipendenza. Col senno di poi, forse, si poteva fare di più.
Sergio Romano (Corriere della Sera, 21 marzo 2002) ammette che la diplomazia elvetica, la magistratura, la polizia dettero prove, anche in condizioni difficili, di coraggio e indipendenza. Concludendo “Chi può dimostrare che in quelle circostanze avrebbe agito diversamente, scagli la prima pietra.”
In ogni caso per illuminare le pagine grigie la Confederazione ebbe il coraggio, unico Paese al mondo, di istituire una Commissione indipendente di esperti sulla Svizzera nella Seconda guerra mondiale» a cui fu permesso di esaminare, scavalcando il segreto bancario, gli archivi delle aziende e delle banche coinvolte nelle vicende economiche della guerra.
Presieduta da uno storico di grande valore (Jean-François Bergier) e composta da studiosi di diversa nazionalità, molti gli Ebrei, la Commissione ha lavorato per cinque anni e ha prodotto un rapporto finale: 504 pagine di analisi, documenti, grafici, dati economici e considerazioni conclusive che sono state presentate il 22 marzo 2002 a Berna con una conferenza stampa.
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