La Svizzera italiana
Già dal 1440 gli Urani occupando definitivamente la Leventina avevano incorporato nella Svizzera un territorio d’altra lingua, italiano per parlata, mentalità e tradizioni.
Alla vigilia della rapida guerra di Svevia, gli Svizzeri s’erano alleati con la piccola Confederazione delle Leghe Grigie, cioè avevano stabilito legami di amicizia e di solidarietà con genti di cultura retoromancia e italiana; le Valli italiane dei Grigioni s’erano ingrandite – quanto a importanza di latinità – con l’acquisto grigionese della Valtellina, di Chiavenna e di Bormio. Ora, mentre queste ultime terre andarono perdute dopo il 1797, cioè al tempo della prima campagna napoleonica, le contrade del Ticino rimasero “signoria” dei Confederati fino al 1798, quando decisero di liberarsi, ma di rimanere tuttavia con gli antichi signori e padroni.
“Liberi e Svizzeri” risuonò il motto dei Luganesi prima, degli altri Ticinesi poi, e la decisione non cessa di stupire lo straniero che si chini sulla storia delle nostre contrade; i Ticinesi, cioè, preferirono restare, da pari a pari, con le genti d’oltre San Gottardo, diverse per razza, lingua, religione, mentalità, piuttosto che aggregarsi alla Repubblica Cisalpina e ai Milanesi che erano della stessa stirpe e religione, mentalità e costumi, e che parlavano la stessa lingua, anzi lo stesso dialetto. Il generale Bonaparte, che aveva consentito il distacco della Valtellina dai Grigioni, approvò invece la decisione del Ticino, forse per non inimicarsi gli Svizzeri dai quali si proponeva (come il Delfino del Quattrocento, come Francesco I° nel Cinquecento) di trarre soldati per le sue avventure in Europa. Le terre ticinesi rimasero dunque svizzere. Nel 1803, anzi, proprio per la Mediazione del Primo Console di Francia, divennero Cantone, cioè Stato autonomo e indipendente.
Da allora, il Ticino seguì la sorte del resto della Svizzera, ma consapevole del proprio destino e intento a costruire il proprio apparato statale sul modello degli altri Stati confederali.
L’Atto di Mediazione di Napoleone Bonaparte nel 1803 permise, quindi, al Ticino l’entrata nella Confederazione Svizzera come “cantone sovrano”. Napoleone pretese però che la Svizzera mettesse a disposizione da 18’000 a 12’000 soldati (la Division Suisse) per il suo esercito.
Contingenti ticinesi, circa 600 uomini,furono incorporati nell’esercito francese e se ne ha particolarmente memoria nella campagna di Russia del 1812 di Napoleone, soprattutto per il passaggio del fiume Beresina, gelato nel freddo inverno russo.
Per un giorno intero, 1’300 soldati svizzeri riuscirono a coprire la ritirata francese dall’impeto di 40’000 soldati russi, mentre il resto dell’esercito francese (o ciò che ne era rimasto) attraversava il fiume su pontoni.
Il numero dei caduti svizzeri fu molto alto, solo 300 soldati sopravissero, ma i francesi furono salvati dalla sconfitta totale.
Qui gli Svizzeri dimostrarono la loro bravura, capacità e resistenza da montanari, comportandosi da veri eroi.
Solo la disastrosa campagna di Russia costringe l’imperatore a ritirare dalla Svizzera le truppe d’occupazione salvando il Ticino.
Malgrado un Ottocento tutto trascorso da traversie e da difficoltà – l’incessante lotta tra i suoi due partiti “storici”, con intemperanze d’ogni sorta; l’inimicizia di talune potenze straniere che lo occuparono militarmente, come avvenne tra il 1810 e il 1812 per opera del Regno Italico di Napoleone e di Eugenio Beauharnais, o lo angariarono in ogni modo, come fece l’Impero Austro-Ungarico; la trasformazione della Confederazione in Stato federativo che tolse al Cantone la direzione della sua politica doganale ed economica, isolandolo crudamente tra la frontiera politica e la barriera delle Alpi – malgrado tante traversie e difficoltà, ripetiamo, il Ticino riuscì a costruire il suo edificio statale e a rivaleggiare con i più anziani Cantoni che godevano di ininterrotta libertà e di un assetto economico secolare.
La particolarità del Ticino di unico Stato di lingua e cultura italiane libero e autonomo in Europa che gli consentì di dare un aiuto tanto considerevole alla causa della libertà e dell’unità italiane; la partecipazione del Ticino (Stato e popolazione) alla vicenda del Risorgimento è la grande pagina della sua storia.
Per fare un solo esempio, basti ricordare l’aiuto che dette il Canton Ticino, (sfidando coraggiosamente le probabili ritorsioni austriache), al principio della seconda guerra d’indipendenza italiana, alla costituzione del corpo dei Cacciatori delle Alpi, volontari posti sotto il comando di Garibaldi, che avrebbe fiancheggiato l’esercito piemontese contro gli austriaci, al fine di liberare la Lombardia. Ricordiamo infatti che, nel 1859, in Piemonte, divenne corposo l’afflusso di fuoriusciti dai vari Ducati, dal Lombardo-Veneto, dal Trentino, in gran parte desiderosi di essere arruolati sotto la bandiera del Re di Sardegna. Si giunse, nel mese di giugno, dopo lo scoppio della guerra, a quasi 40 mila unità.
Nelle sue memorie Garibaldi ricordò la tipica marcia dell’esule dal Lombardo-Veneto: essa passava per la via di Como, lungo i sentieri del contrabbando, guidati dagli spalloni. Entrati nel compiacente Canton Ticino, retto da un governo liberale vicino al Cavour, passate Lugano e Magadino, da Locarno gli esuli venivano trasportati gratuitamente sui vaporetti fino ad Arona per poi proseguire in treno sul territorio piemontese, fino a Torino Porta Susa. Vedi wikipedia
Non può essere sottaciuta l’emigrazione artistica di costruttori, impresari, architetti, artisti che lasciarono in ogni parte d’Europa – da Mosca e da San Pietroburgo (Leningrad) fino alla Spagna, dal Mare del Nord alla Sicilia e a Costantinopoli, ma sopra tutto in Italia, le testimonianze d’una straordinaria genialità e, quasi, di un naturale, prodigioso istinto del costruire.
Allo Stato federativo svizzero, il Ticino ha offerto statisti di vasta operosità e di eccezionale talento, quali Stefano Franscini e Giuseppe Motta; ha offerto e offre scrittori, uomini di scienza, economisti, docenti universitari, magistrati d’alto valore. Dal punto di vista svizzero, si deve quindi salutare con particolare soddisfazione la politica gottardista dei cantoni centrali, che permise la formazione di una Svizzera italiana (Ticino e Valli grigionesi) e, con ciò, la configurazione di una Svizzera quadrilingue, di diverse stirpi e fede religiosa, e tuttavia unita nell’ideale della volontaria collaborazione pacifica, cioè nell’affermazione della ragione e della buona volontà sulle passioni e sugli altri elementi irrazionali.
E che cosa rappresenta per la Svizzera italiana, il fatto di essere parte integrale della Confederazione? Vantaggi d’ordine politico che nessuno può dimenticare: quasi cinque secoli di pace ininterrotta; l’esigenza di un certo livello economico di esistenza; una provata educazione democratica (che si vorrebbe dire frutto d’esperienze secolari) che è disciplina e anche senso di solidarietà tra le classi sociali, che in Svizzera non sono separate da abissi come altrove, ma tendono a un livello di media prosperità; di più, dal punto di vista svizzero, la condizione del Ticino gli ha conferito l’impegno, e però anche il vantaggio, di essere uno “Stato”, se anche non più interamente sovrano, sempre però indipendente e largamente autonomo; questo vuol dire, ancor oggi, certa libertà di movimenti e dovere di emulazione con gli altri Stati confederati, e doveri in genere, obbligo di serio lavoro per sviluppare istituti civili, raggiungere posizioni materiali, conservare dignità di Cantone, anzi di “Svizzera italiana”.
La comunanza etnica e culturale con la gran madre, l’Italia, oltre a dargli l’orgoglio di un’antichissima e umanissima civiltà, il ricordo di mezzo secolo di collaborazione al Risorgimento, gli affida poi delle responsabilità particolari, e dovrebbe dargli, altresì, una sensibilità particolare.
Georg Thürer
Guido Calgari
Le popolazioni — di etnia celto-longobarda*, di cultura e lingua italiane (**), di natura indipendente e di radicata tradizione democratica, di questa regione del Nord della penisola italiana — si opposero con le armi, alla fine del ‘700, all’annessione alla Repubblica cisalpina, di ispirazione giacobina, quasi presagissero l’evolversi di quella Repubblica, centralista sul modello francese, succube di Napoleone, nell’avventuroso e bellicoso Regno italico di Eugenio Beauharnais.
(*) I Longobardi furono i portatori di un preciso e fiero costume di libertà che si estrinsecava nella assemblea deliberante e politicamente responsabile degli arimanni, dei liberi e guerrieri, dei liberi e forti.
(**) il ticinese è dialetto lombardo.
Quell’eroica resistenza* (iniziata a Lugano il 15 febbraio 1798, guidata da due avvocati conservatori di Ponte Tresa: Annibale Pellegrini e Angelo Stoppani), fu valutata nel 1803 nell’Atto di Mediazione di Napoleone** (allora Primo Console della Repubblica Francese, e Presidente della Repubblica Italiana), e risparmiò il Ticino, nella seconda metà dell’800, dall’essere successivamente annesso al Regno d’Italia, voluto dalla Casa di Savoia sul modello unitario e centralista francese, Dinastia che trascinò il Paese conquistato, pressoché l’intera penisola italiana, verso una disastrosa politica di potenza e di espansione
(*) L’opzione elvetica non era un rinnegamento dell’italicità, bensì una scelta consapevole per difendere spazi d’autonomia in una Svizzera plurilingue.
Linguaggio ed identità nazionale non costituiscono una invariabile equazione. Unicità di lingua: mito giacobino che ha omologato e distrutto le minoranze linguistiche in molti Paesi europei.
“Liberi e Svizzeri”: Pellegrini e Stoppani avevano capito che la libertà svizzera non era evidentemente la libertà francese. Essi rigettarono, come tuttora rigettano i loro discendenti, l’uniformità, la centralizzazione della visione razionale giacobina voluta a Parigi.
La visione giacobina francese è riuscita a dominare anche l’attuale Unione europea, imponendo i valori dell’indivisibilità e dell’uniformità:
Un paradiso burocratico” dove tutti i bambini studiano lo stesso soggetto alla stessa ora in ogni scuola, dove tutte le banane hanno la stessa curvatura, e regole uniformi stabiliscono la quantità di grasso vegetale presente nel cioccolato, dal Circolo Artico ai Stretto di Gibilterra”. (Jonathan Steinberg, University of Pennsylvania)
Questa visione di uniformità perfetta ha plasmato gli acquis communautaire” applicata in ogni stato dell’Unione, imposta nella sua interezza ad ogni membro potenziale”.
Questo prezzo la Svizzera, per il diritto di appartenenza all’Unione europea, non è disposta a pagarlo neppure ora.
I Ticinesi dissero nuovamente no (85%), nelle votazioni del Marzo 2001, alla libertà francese (negoziazione per l’adesione immediata all’UE), come i loro antenati due secoli prima.
(**) Nel 1803, Napoleone ridisegna la Svizzera: il Primo Console assegna al paese una nuova Costituzione e ridefinisce – una volta di più, ma con successo duraturo – i confini interni.
Sei regioni ottengono lo statuto di cantoni a pari diritti: Argovia, Grigioni, San Gallo, Ticino, Turgovia e Vaud.
Il nuovo ordine rappresenta un tentativo d’equilibrio fra la tradizione aristocratica dell’antica Confederazione e gli ideali rivoluzionari francesi.
I Savoia pare si fossero dimenticati della avveduta e saggia azione e lezione politica di un grande uomo di Stato, Camillo Benso [1], conte di Cavour, (svizzero, sarebbe oggi con la legislazione attuale, per parte di madre*), che aveva per loro realizzato l’unificazione della Penisola sotto la corona sabauda.
(*) La madre, Adèle de Sellon ( 1846), era Ginevrina.
I Ticinesi, grazie alla eroica resistenza ed alla volontà espressa nel 1798, non subirono le avventurose imprese del Regno sabaudo. I Savoia, infatti, conquistata la corona d’Italia (*), dichiararono rovinose, sanguinose, anacronistiche ed, in definitiva, infruttuose e velleitarie guerre d’avventura, non solo coloniali, invece che dedicarsi alla modernizzazione del Paese conquistato, mediante la scolarizzazione delle plebi e la costruzione di infrastrutture civili.
(*) Forse non è pienamente condivisibile l’indignazione di Antonio Gramsci (in “Ordine Nuovo”, 1920) laddove scrisse che “lo stato italiano (leggasi sabaudo) è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri, che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.
Tuttavia non si può che censurare il sistematico ricorso alla repressione militare (“Legge Pica” del 15 agosto 1863) dei fenomeni di ribellione, ché altro non era, il brigantaggio, che una questione ardente agraria e sociale, che doveva essere affrontata nelle sue cause, rimuovendo le ingiustizie e le arretratezze, e promuovendo lo sviluppo, e non già con la repressione e le fucilazioni, o con il cannoneggiamento di Milano (dal 6 al 9 maggio 1898) da parte del gen. Bava Beccaris. (Le fonti ufficiali registrarono più di 80 morti e 450 feriti, oltre duemila arresti e 823 processi davanti ai tribunali militari). Il canto, scritto in seguito ai fatti di Milano, è noto col titolo “Il feroce monarchico Bava”. Ma si sa che violenza chiama violenza. Uno sconosciuto anarchico (Bresci) venuto dall’America già preparava nell’ombra la vendetta: due anni dopo, a colpi di pistola, crederà di vendicare i morti di Milano uccidendo il re.
Dopo la disfatta terrestre di Custoza [2] e la disfatta navale dell’ammiraglio Persano a Lissa contro la flotta austriaca al comando dell’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, (1866, guerra che, comunque, consentì l’annessione del Veneto al Regno sabaudo), vollero la conquista (risultata effimera) dell’Eritrea, dell’Abissinia, della Libia, dell’Etiopia, della Somalia, dell’Albania, ecc.
E successivamente, nella prima metà del ‘900, il Canton Ticino, democratica e libera Repubblica, non dovette subire le vicende tragiche dei propri fratelli italiani, sudditi del Regno sabaudo. Il re Vittorio Emanuele III di Savoia, infatti, trascinò i propri sudditi nelle immani tragedie della prima e della seconda guerra mondiale, mostrando altresì acquiescenza alla ventennale dittatura fascista [3], ed all’intervento nella guerra di Spagna, promulgando finanche le infami leggi razziali.
D’altra parte non può non ritenersi che quanto accadde nei solo 86 anni di regno sull’Italia non fosse che la inevitabile conseguenza della bellicosa natura dei Principi di Savoia, contro i cui desideri di conquista della Romandìa (in particolare Ginevra e Vaud), i Confederati dovettero combattere per lunghi secoli nel Medioevo.
Sol dopo aver, gli Svizzeri, imposto, con le armi, il rispetto della propria sovranità, nel corso dei secoli, intervennero stretti vincoli militari (capitolazioni)* tra i Cantoni e Casa Savoia [4].
(*) Le truppe, spesso definite con tono dispregiativo mercenarie, venivano assoldate sulla base di accordi diplomatici ben definiti, stipulati tra i Cantoni di provenienza e la Casa di Savoia e chiamati «capitolazioni militari».
I Savoia, quindi, non essendo riusciti ad espandere il proprio dominio ad Oriente, l’Elvezia, si volsero verso Sud, occupando, nei secoli, prima la Valle d’Aosta e poi il Piemonte, le cui popolazioni risultarono di più agevole asservimento [5].
Essi trasferirono la propria capitale, sistematicamente, nel territorio conquistato, parendo dimenticarsi della patria dei propri avi, e dei sudditi che, via via, avevano consentito loro la realizzazione della nuova conquista.
E così, successivamente, da Torino questi monarchi trasferirono la propria capitale a Firenze e quindi a Roma, barattando addirittura la madrepatria, la loro culla di origine, la Savoia, con la Francia, pur di estendere il proprio Regno
Emblematicamente Vittorio Emanuele II, il primo re d’Italia, per palesemente attestare il suo ruolo di “conquistatore”, continuò a chiamarsi coll’ordinativo “II”, calendosene punto dei sentimenti di molti Patrioti del Risorgimento, anche Meridionali, che avevano combattuto per la “Libertà” e la “Unità” e non per darsi un altro monarca.
I Ticinesi quindi non si lasciarono lusingare, durante il periodo fascista*, dai richiami secessionisti – sostenuti dalla becera ostentazione della “grandezza” dell’Impero, “rinato sui colli fatali di Roma….” (con foto di Mussolini, su cavallo bianco, che brandisce la spada dell’Islam….) – richiami provenienti dal Regno d’Italia, la cui legislazione li ha definiti “Italiani non regnicoli” (1), ed oggi, col mutamento della forma istituzionale, “Italiani non appartenenti alla Repubblica”, corpus ordinamentale che li parifica agli Italiani nei diritti d’accesso alle Università**, pubblico impiego ed alle professioni, non considerandoli stranieri***, e quindi, tra l’altro, escludendoli (art. 4) dalle discriminazioni, per esempio in materia matrimoniale, previste dal, non più vigente, Regio Decreto legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, art. 4 (Provvedimenti per la difesa della razza italiana), ecc.
(*) alle elezioni del 1935 i due partiti di estrema destra ticinesi, complessivamente, non raggiunsero il 5% dei suffragi. Fée;dée;ration Fasciste Suisse: 1,2% alle cantonali del Ticino (1935).
(1) quelli cioè che, pur non avendo la cittadinanza italiana, siano originari di territori etnicamente italiani, ma politicamente non facenti parte del Regno (Circolare N. 9270/ Demografia e Razza del Ministro dell’Interno del 22 Dicembre 1938).
(2) (**) R.D. 31 agosto 1933, n. 1592; R.D. 4 giugno 1938, n. 1269; Legge 19 gennaio 1942, n. 86, ecc.
(3) (***) R.D. 18 giugno 1931, n. 773 T.U.L.P.S (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) art. 150, recante il divieto d’espulsione dal regno; R.D.; 30 settembre 1938, n. 1706 (Autorizzazione ad aprire ed esercitare una farmacia); R.D. 21 aprile 1942, n. 444 (accesso in Magistratura nel Consiglio di Stato), ecc. ecc.
I Ticinesi (Rezzonico) risposero pacatamente, allora, con il libro: “Gli Svizzeri a Roma”.
Chi sono gli artefici dell’attuale assetto urbanistico della Città Eterna? A parte il romano Bernini, fenomeno isolato, i principali architetti della Roma papale sono ticinesi, quindi svizzeri: il Borromini, il Longhena, i due Fontana, il Maderna, loro nipote, Domenico Rossi……
Il libro documenta il tutto con dovizia di fotografie lasciando intendere che si dovrebbe parlare di riunione di Roma al Ticino, e non del contrario….
La tradizione di terra d’asilo è stata onorata, con mille difficoltà, nell’ ‘800 e nel ‘900, dando accoglienza ad uomini di ogni idea e nazionalità; da Federico Confalonieri a Giuseppe Mazzini, da Mikhail Bakunin a Carlo Cattaneo, Karl Marx, Andrea Costa, Carlo Cafiero, Anna Kulisciov, Errico Malatesta e Pietro Gori.Sull’emigrazione politica in Ticino di esuli italiani, dopo l’instaurazione sabauda del Regno d’Italia, si veda il libro “Lugano bella, addio” di Maurizio Binaghi.
Ed ancora a Luigi Einaudi, futuro Presidente della Repubblica italiana, ad Amintore Fanfani e financo ad Edda Mussolini.
Repubblicani o garibaldini, socialisti o anarchici, massoni o irredentisti.
Mille difficoltà giacché in quegli anni il Ticino era strettamente sorvegliato da Berna e spesso anche occupato militarmente.
La Confederazione doveva stare attenta a quanto succedeva in un cantone periferico ma, per la sua vicinanza al Regno d’Italia, centrale da un punto di vista strategico. Per questa ragione, la presenza e l’azione degli esuli nella Svizzera italiana finiva per influire non solo sulla politica cantonale, ma sulle relazioni tra la Confederazione e il Regno d’Italia.
Celeberrima è la canzone “Addio Lugano bella”, scritta nel 1895 da Pietro Gori, in occasione dell’espulsione di anarchici, riparati in Svizzera dopo l’uccisione, per mano dell’anarchico Sante Caserio, del Presidente francese Sadi Carnot.
Con la Repubblica italiana, nata dopo la seconda guerra mondiale coll’unificazione dei territori appartenuti al Regno d’Italia ed alla Repubblica sociale Italiana, (con capitali a Brindisi ed a Salò, rispettivamente), gli attuali rapporti amichevoli e di collaborazione sono tutt’affatto diversi rispetto alla prima metà del ‘900, tanto da far dimenticare le sottili inquietudini, durate decenni, suscitate dalle rodomontiche e del tutto velleitarie mire italiane [6][7] sul Cantone.
E tale irriconoscente protervia del Capo del Governo italiano (Mussolini) nonostante che, nell’aprile del 1904, costui – beneficiando del diritto d’asilo in Svizzera – evitò l’espulsione dalla Svizzera e la galera italiana per effetto di una condanna per renitenza alla leva, grazie all’intervento del Gran Consiglio (Parlamento) e del Consiglio di Stato (Governo) ticinesi [8].
Dopo 50 anni da allora, nel 1997, la Svizzera, non temendo più un’invasione italiana, ha avviato dunque lo sminamento di ponti e viadotti di confine. Tali precauzioni furono necessariamente prese dal governo elvetico in risposta alle rivendicazioni di Mussolini circa l’italianità del Canton Ticino.
Durante la II Guerra mondiale i Ticinesi, correndo rischi personali, offrirono generoso asilo e rifugio agli italiani dei due Stati della Penisola (Regno del Sud e Repubblica sociale di Salò), civili e militari in fuga dalle persecuzioni germaniche, violando le leggi svizzere vigenti, se fu condannato, è oggi pienamente riabilitato. (fonte: Swissinfo)
La città italiana di Domodossola, ai piedi del Sempione, ha inaugurato sabato 2 Ottobre 2004 una piazza dedicata al «Popolo della Svizzera». Nel quadro del 60esimo anniversario della Repubblica partigiana dell’Ossola, la città ringrazia gli Svizzeri per aver accolto migliaia di rifugiati nel 1944. Una piccola piazza del centro di Domodossola ricorda l’aiuto prestato da Vallesani e Ticinesi a migliaia di profughi che erano fuggiti dalle forze italo-germaniche (migliaia di soldati tedeschi, ufficiali SS e «camicie nere» italiane) nell’ottobre del 1944. Tra questi, 2’500 bambini erano stati accolti da famiglie elvetiche. Gli adulti avevano invece trovato rifugio presso strutture della Croce Rossa. «Nel 60esimo anniversario della repubblica partigiana, l’Ossola ricorda il soccorso fraterno e generoso prodigato dagli amici svizzeri», indica la targa commemorativa redatta in italiano, francese e tedesco. (fonte: Swissinfo)
Il passaggio oltre la frontiera elvetica significava la salvezza dalle persecuzioni, dall’odio e dalle barbarie.
Due bimbi rifugiati, con accanto la mappa utilizzata per sfuggire ai persecutori ed agli aguzzini. Il percorso per passare la frontiera verso la salvezza e la libertà fu quello del valico del Gaggiolo, tra la provincia di Varese ed il Canton Ticino.
Nel Paese della Pace e della Concordia finalmente ritrovano la gioia di vivere, lontani dall’orrore delle persecuzioni e della guerra.
Il Ticino ha sempre respinto ogni proposta di apertura all’Unione Europea.
Una delle cause determinanti, se non la principale, è la sua situazione di cantone di frontiera con l’Italia, nazione di cui sente e subisce gli umori e anche ne approfitta. Con una doppia valenza.
Da un lato l’Italia assume la funzione più concreta e visibile di “esempio europeo” ed è un esempio che non entusiasma nessuno: quindi, meglio tenersene fuori. D’altro lato si vive sulla certezza che solamente ciò che è differenza con l’Italia fa il Ticino e può essere utile al Ticino.
Storicamente sono sempre state le disgrazie politiche ed economiche italiane che hanno fatto la fortuna ticinese: fughe dei capitali, disoccupazione e manodopera frontaliera, evasione fiscale, contrabbando, casinò, maggiore efficienza dei servizi, da quelli bancari a quelli attuali sulla fecondazione artificiale ecc…
L’apertura o la liberalizzazione è quindi vista come rischio di omogeneizzazione, fine delle differenze, sicura perdita economica, concorrenza insostenibile, maggiore criminalità. (Silvano Toppi) [10]
NOTE
[1] Cavour ebbe stretti rapporti e relazioni con la Svizzera, e vi soggiornò regolarmente dal 1835 al 1848, ed ebbe amicizie influenti nella Confederazione.
Fu fortemente influenzato dallo zio materno, Jean-Jacques de Sellon, svizzero di Ginevra, che abitava una villa sulle alture di Ginevra, La Fenéetre, col quale era unito da legami di sangue, amicizia ed affinità intellettuale.
Era dei Sellon anche il castello di Allaman, sulla riva destra del lago Lemano. Quando non erano al castello i Sellon villeggiavano e ricevevano gli amici a La Perrière, dove esiste una vecchia sorgente termale.
Per visitarli Cavour doveva attraversare il San Bernardo, scendere sino a Bourg-Saint-Maurice, proseguire per Moîitiers.
I de la Rive, invece, lontani cugini di Cavour, passavano i mesi della villeggiatura a Presinge, un villaggio a nord-est di Ginevra, vicino al confine con la Savoia.
Gli altri zii ginevrini di Cavour, i Clermont-Tonnerre, abitavano a Le Bocage, non lontano da Ginevra, una elegante casa di campagna composta, come un domino, di parti costruite in tempi diversi.
Cavour amava la Svizzera e ne era ricambiato: passando da Ginevra per recarsi a Plombières, fu accolto con ovazioni.
Fu Cavour a volere il trattato di commercio tra Regno di Sardegna e Confederazione Svizzera (1851) poi rinnovato nel 1878 tra il neonato Regno d’Italia e la Svizzera.
[2] Il 1866 è l’anno della terza guerra d’indipendenza, la prima dopo l’unità d’Italia, ed è quella che dovrebbe mostrare la forza militare e il grado di coesione del paese.
L’Italia scende ancora una volta in campo contro l’Austria-Ungheria, a fianco della Prussia. La guerra è stata dichiarata il 20 giugno e solo 4 giorni dopo, il 24, l’esercito italiano viene sconfitto a Custoza, nei pressi di Verona.
Lo smacco di Custoza non era grave militarmente ma lo era politicamente, perché il giovane Regno d’Italia mostrava la sua inconsistenza nazionale di fronte all’Europa. A questo punto bisognava ottenere una rivincita immediata di Custoza: occorreva una vittoria pronta e convincente e poiché questa vittoria non era in grado di darla l’Esercito, toccava alla Marina.
Una vittoria navale, anziché terrestre sarebbe stato il riscatto. E intervenne, invece, la sconfitta della flotta italiana, al comando dell’ammiraglio conte Carlo Pellion di Persano, a Lissa.
Nella primavera successiva (1867) l’ammiraglio Persano venne messo sotto processo per la sconfitta di Lissa.
L’esercito prussiano a Koniggratz (Sodowa, in Boemia) decideva le sorti della guerra dopo aver battuto l’esercito austriaco. La mediazione di pace di Napoleone III comporterà la cessione del Regno Lombardo-Veneto alla Francia, e successiva cessione del Veneto, dalla Francia, ai Savoia.
[3] Dittatura conclusasi con un “golpe” (colpo di stato) del re Vittorio Emanuele III che fece arrestare dai Carabinieri reali l’inerme Mussolini (allora capo del governo) il 25 Aprile del 1943 durante una visita protocollare di questi a Villa Savoia, dimora privata del re, in Roma, violando, il monarca, i più elementari e sacri doveri dell’ospitalità;.
[4] Truppe svizzere furono al servizio dei Principi di Casa Savoia, sia quando erano sovrani di terre al di là dei monti, sia dopo.
Dal 1241 (prima alleanza di Berna con Amedeo IV) al 1814 (ultima capitolazione di Vittorio Amedeo I con i Grigioni) sono 23 le capitolazioni firmate ed una trentina i reggimenti forniti dai Cantoni: altrettanti i generali.
Gli Svizzeri, quando combattono, combattono per davvero. Numerosi sono i fatti d’arme: la Madonna dell’Olmo, la guerra delle Alpi, ecc.
Dal 1609 i 100 Svizzeri formano la guardia personale del Duca, che tale resta fino al 1832, ultima delle truppe capitolate ad essere sciolta: resta in loro ricordo il salone degli Svizzeri nel palazzo reale di Torino. Gli ultimi sette abati di San Gallo (1654-1796) vengono tutti insigniti dell’Ordine Supremo della SS. Annunciata. Antica amicizia e probabile riconoscenza per i molti reggimenti forniti dagli Abati ai Savoia…
[5] E’ nota la vocazione tradizionalmente monarchica di queste popolazioni.
Sembra riscontrarsi un apparentamento con il “plaisir de servir” tipicamente francese, tanto che, ancor oggi, non è infrequente leggere necrologi sulla Stampa di Torino nei quali il defunto veste ancora la livrea, rectius la tuta, essendo qualificato orgogliosamente “Anziano FIAT”.
[6] ….. perché infine sentivamo vivi e vitali quei vincoli di razza che non ci lega soltanto agli italiani da Zara a Ragusa ed a Cattaro, ma che ci lega anche agli italiani del Canton Ticino, ………., a questa grande famiglia di 50 milioni di uomini che noi vogliamo unificare in uno stesso orgoglio di razza – Discorso di Bologna del 3 Aprile 1921
[7] E, alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia, dopo essersi doluto che il confine del Regno d’Italia non giungesse sino alle Alpi (per proteggere (sic!) Milano), il futuro duce degli Italiani proseguiva – tra gli applausi – affermando che “……ma d’altra parte in questa Camera e fuori tutti sanno che nel Canton Ticino, che si sta tedeschizzando e imbastardendo, affiora un movimento di avanguardie nazionali, che io segnalo e che noi fascisti seguiamo con viva simpatia”. Camera dei Deputati del Regno d’Italia – 21 giugno 1921.
8] Nell’aprile del 1904, Mussolini, ancora a Chiasso per essere espulso in Italia, viene “graziato” dall’indulgenza del Consiglio di Stato ticinese.
In Italia l’attendeva una sicura pena per renitenza alla leva.
Mussolini trascorre i primi mesi del 1904 tra Ginevra e Annemasse (Alta Savoia), occupandosi di attività politica, sindacale e giornalistica: comizi, conferenze, corrispondenze a riviste socialiste e anarchiche.
Frequenta anche la Biblioteca universitaria, dai cui registri risulta che abbia consultato soprattutto trattati sulle malattie veneree.
Giuridicamente, la sua posizione si fa precaria. In Italia è ricercato per renitenza alla leva; in Svizzera è schedato come sovversivo e sorvegliato dalla polizia; per di più il suo passaporto è scaduto e non può chiederne il rinnovo, siccome “disertore”. (fonte: Swissinfo)
Decide allora di falsificare la data di validità del documento, ma le autorità ginevrine non tardano a scoprire l’irregolarità. In aprile viene arrestato e poi espulso dal cantone.
La polizia decide di farlo accompagnare alla frontiera italiana a Chiasso, ciò che avrebbe significato l’arresto da parte delle autorità del Regno.
Contro l’espulsione di Mussolini si mobilitano gli ambienti socialisti e quelli dell’emigrazione italiana in Svizzera. Giuseppe Rensi, intellettuale socialista rifugiatosi in Ticino e in buoni rapporti con vari esponenti liberali-radicali locali, interviene per farlo liberare.
Lunedì 18 aprile 1904, il deputato radicale al Gran Consiglio ticinese Antonio Fusoni interpella il governo “per sapere se la direzione di polizia ticinese si sia restata o meno alla consegna al confine italiano di certo Mussolino (sic), stato espulso dal cantone di Ginevra”.
L’interpellante trova scorretta la consegna di Mussolini all’Italia: la renitenza al servizio militare essendo un delitto politico, simile espulsione violerebbe il diritto d’asilo.
Evitata la galera
Il consigliere di Stato Luigi Colombi, responsabile del dipartimento di polizia, rassicura l’interpellante.
Avendo avuto conoscenza per via indiretta dell’espulsione ordinata dalle autorità ginevrine “e sapendo non procedere la medesima da nessuna condanna per reato comune”, la direzione di Polizia “diede istruzioni ed ordini nel senso che detto signore non venne né consegnato, né tradotto al confine, ma lasciato libero di scegliere, per abbandonare il cantone e la Svizzera, quella via che più gli convenisse”.
Così, nel 1904, alcuni esponenti politici ticinesi, decisi a far rispettare il diritto d’asilo in Svizzera, anche contro il volere di altre autorità cantonali, evitarono al disertore ed agitatore Benito Mussolini un sicuro soggiorno nelle galere italiane. Sia consentita un’ossrvazione: a testimonianza di riconoscenza, Mussolini si determinò, nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, ad invadere il Ticino, facendo predisporre dal gen. Mario Vercellino il piano di invasione. Non lo fece perchè si rivolse contro la Grecia, con i risultati disastrosi che sappiamo.
[9] La legge per l’annullamento delle sentenze pronunciate nei confronti di coloro che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni naziste prevede un doppio meccanismo.
Da un lato tutte le sentenze sono annullate, dall’altro la legge istituisce una commissione a cui è possibile rivolgersi per ottenere l’annullamento di una specifica sentenza.
[10] – 21 maggio 2000: il Ticino respinge con il 57% di no gli Accordi bilaterali – 5 giugno 2005: il Ticino respinge con il 61,9% di no gli accordi di Schengen/Dublino – 25 settembre 2005: Il 63.9% dei votanti ticinesi hanno bocciato l’estensione della libera circolazione ai nuovi membri dell’UE.
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