Sentenza numero 376 del 12 luglio 2000 della Corte Costituzionale – “La sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40, ora sostituito dall’art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico disciplina immigrazione), nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio “
La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40, ora sostituito dall’art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico disciplina immigrazione), nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 376 – ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Cesare MIRABELLI Presidente
– Francesco GUIZZI Giudice
– Fernando SANTOSUOSSO
– Massimo VARI
– Cesare RUPERTO
– Riccardo CHIEPPA
– Valerio ONIDA
– Carlo MEZZANOTTE
– Fernanda CONTRI
– Guido NEPPI MODONA
– Piero Alberto CAPOTOSTI
– Annibale MARINI
– Franco BILE
– Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lett. d) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 29 marzo 1999 dal Pretore di Termini Imerese nel procedimento civile tra Dylmishi Selim e il Prefetto di Palermo, iscritta al n. 302 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Pretore di Termini Imerese è investito della decisione di un ricorso proposto da un cittadino albanese – ai sensi dell’art. 11, comma 8, della legge n. 40 del 1998 – avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Palermo perché non aveva chiesto nei termini prescritti il rinnovo del permesso di soggiorno; a sostegno della domanda il ricorrente ha dichiarato di risiedere in Italia da circa dieci anni, di svolgere attività di collaboratore domestico, di essere coniugato e convivente con una sua concittadina in stato di gravidanza a rischio di aborto prematuro, di esser stato in possesso di un regolare permesso di soggiorno e di non averlo potuto rinnovare per cause di forza maggiore.
Il giudice a quo, ritenuto che il decreto di espulsione impugnato sia legittimo, in considerazione sia del negligente ritardo con cui l’interessato aveva richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno che dell’insussistenza della causa di forza maggiore invocata dal ricorrente, ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero coniugato e convivente con donna in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita di un figlio, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.
Secondo il rimettente l’art. 2 Cost. riconosce anche allo straniero i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, mentre l’art. 10 Cost. gli riconosce i diritti derivanti dalle norme e dai trattati internazionali; il diritto di formare una famiglia e di mantenere l’unità del nucleo familiare, previsti dall’art. 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall’Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, così come tutti i diritti e le potestà di cui agli artt. 29 e 30 Cost., dovrebbero perciò essere garantiti allo straniero come al cittadino; al riguardo il giudice a quo ritiene che l’omessa previsione del divieto di espulsione dello straniero, coniugato e convivente con una donna in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, determinerebbe l’impossibilità per l’espulso di esercitare i diritti e di adempiere i doveri nei confronti del coniuge, del nascituro e del figlio dopo la nascita.
Secondo il giudice a quo tale omissione violerebbe anche l’art. 3 Cost., dal momento che la mancata previsione del divieto di espulsione del padre, coniugato e convivente con la donna incinta e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i coniugi e renderebbe di difficile attuazione lo stesso divieto di espulsione nei confronti delle madri straniere, le quali ben difficilmente, in caso di allontanamento del marito, potrebbero decidere di restare in Italia senza l’adeguato sostegno materiale e morale del coniuge.
Ritiene infine il rimettente che anche l’unità familiare e la tutela dei minori, che pure sono tra gli obbiettivi degli artt. 26 e segg. della stessa legge n. 40 del 1998, finirebbero per essere non garantiti nel caso di espulsione del “capofamiglia”.
2. – E’ intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte, in via preliminare, di restituire gli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza della questione alla luce dello jus superveniens, intervenuto in epoca successiva alla ordinanza di rimessione e, in subordine, di dichiarare la questione infondata.
Quanto al primo profilo, l’Avvocatura osserva che il nuovo testo dell’art. 49, comma 2, del testo unico n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 8 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40) ha disciplinato la c.d. regolarizzazione degli stranieri, presenti sul territorio dello Stato anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 40 del 1998, che siano in possesso di determinati requisiti; dal momento che lo straniero che ha proposto opposizione all’espulsione davanti al Pretore di Termini Imerese sembrerebbe rientrare tra coloro i quali possono beneficiare della regolarizzazione, ciò imporrebbe, ad avviso della difesa erariale, una nuova valutazione della rilevanza della questione da parte del giudice a quo.
Nel merito l’Avvocatura ritiene che la questione sia infondata, dal momento che con essa si richiede al giudice delle leggi un intervento additivo che non potrebbe essere assunto se non nel quadro di ripensamenti più generali del complesso sistema normativo riguardante la materia; nel predisporre la disciplina di cui si tratta, il legislatore avrebbe operato un bilanciamento di interessi tra l’esigenza di riconoscere agli stranieri una serie di facoltà e quella, pure apprezzabile, di disciplinare l’ingresso ed il soggiorno nello Stato dei non cittadini; sotto questo profilo nella norma denunciata non sarebbero ravvisabili violazioni degli artt. 2, 10, 29 e 30 Cost.
Sempre secondo l’Avvocatura non vi sarebbe neppure violazione dell’art. 3 Cost., dal momento che il divieto di espulsione della donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi costituirebbe una eccezione alla regola generale, determinata dalla necessità di far fronte ad esigenze primarie della madre e del bambino, e non sarebbe assimilabile a quella del padre che versi in situazione di illegalità.
Considerato in diritto
1. – Il Pretore di Termini Imerese dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero coniugato e convivente con donna in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita di un figlio, per la violazione: (a) degli artt. 2 e 10 della Costituzione, perché la norma impugnata non tutelerebbe i diritti inviolabili dell’uomo, ed in particolare il diritto di formare una famiglia riconosciuto dall’art. 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall’Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848; (b) dell’art. 3 Cost., perché la disposizione prevederebbe per il coniuge straniero di sesso maschile un trattamento diverso e meno favorevole rispetto a quello della donna incinta e della donna che ha partorito da non oltre sei mesi, per le quali vige il divieto di espulsione; (c) degli artt. 29 e 30 Cost., perché essa non garantirebbe l’unità familiare e non consentirebbe allo straniero di esercitare i diritti e i doveri nei riguardi dei figli minori e del coniuge.
2. – Occorre preliminarmente osservare che la norma impugnata dal Pretore di Termini Imerese è stata interamente trasfusa, senza modificazione alcuna, nell’art. 19, comma 2, lett. d) del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) in forza della delega legislativa contenuta nell’art. 47 della stessa legge n. 40 del 1998; la questione di legittimità costituzionale deve intendersi perciò trasferita sulla norma del testo unico, rinvenendosi tuttora nell’ordinamento la norma impugnata, secondo il principio affermato da questa Corte nelle sentenze n. 84 del 1996 e n. 454 del 1998.
3. – Sempre in via preliminare deve essere disattesa la richiesta dell’Avvocatura dello Stato di restituzione degli atti al giudice rimettente per una nuova valutazione della rilevanza della questione alla luce dello jus superveniens costituito dall’art. 8 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40); infatti la norma indicata dalla difesa erariale – che ha disposto una sanatoria per alcune categorie di stranieri presenti sul territorio dello Stato – non ha inciso, né direttamente né indirettamente, su quella impugnata dal giudice rimettente e non è perciò suscettibile di essere applicata nel giudizio in corso davanti al Pretore di Termini Imerese, nel quale il thema decidendum continua ad essere rappresentato dalla domanda del ricorrente; l’eventuale possibilità per lo straniero di usufruire delle norme di sanatoria risulta quindi una questione di mero fatto, che non può incidere sul presente giudizio di legittimità costituzionale.
4. – La questione, nei termini in cui è stata rimessa a questa Corte dal giudice a quo, è fondata.
5. – La norma impugnata, collocata al Capo III (Disposizioni di carattere umanitario) del Titolo II della legge n. 40 del 1998, sotto l’onnicomprensiva intitolazione “Divieti di espulsione e di respingimento” prevede alcuni divieti di espulsione degli stranieri che si trovino in posizione irregolare sul territorio dello Stato e disciplina situazioni che sono fra loro non omogenee. In particolare, mentre il comma 1 stabilisce un divieto assoluto ed incondizionato di espulsione e di respingimento dello straniero verso uno Stato ove egli possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, il comma 2 prevede – salvo i casi in cui ricorrano esigenze di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, disciplinati dall’art. 11, comma 1 della stessa legge – divieti di espulsione e di respingimento per alcune categorie di stranieri in relazione a loro particolari e specifiche condizioni personali o familiari. Il divieto in questi casi riguarda: lo straniero minorenne, che non può mai essere espulso salvo il suo diritto di seguire il genitore o l’affidatario che siano stati espulsi; gli stranieri che siano in possesso della carta di soggiorno, per i quali le condizioni di espulsione sono indicate dall’art. 7, comma 5 della legge; coloro che sono sposati e convivono con un cittadino e coloro che convivono con cittadini italiani, loro parenti entro il quarto grado; e infine le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto. In quest’ultimo caso si tratta dunque, più che di un divieto assoluto di espulsione o di respingimento, di una temporanea sospensione del relativo potere fondata sulla particolare tutela che l’ordinamento, in questa come in varie altre materie, appresta per la donna in stato di gravidanza e nel periodo immediatamente successivo alla nascita del figlio; tutela che viene riconosciuta in vista della protezione sia della stessa donna che del figlio minore, nato o nascituro. Non va dimenticato peraltro che queste esigenze di tutela del nucleo familiare, individuate dal legislatore e nella specie previste a favore della donna, cedono di fronte a quelle di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato che sono affermate nell’art. 11, comma 1, della legge n. 40 del 1998, richiamato espressamente dall’art. 17, comma 2; infatti questa norma fa comunque salvo, in tutti i casi, il potere del Ministro dell’interno di disporre l’espulsione dello straniero per i sopracitati motivi.
La particolare ratio delle norme che prevedono benefici a favore della donna nel periodo immediatamente antecedente e in quello successivo al parto è stata già considerata da questa Corte che, nella sentenza n. 1 del 1987, ha osservato come la norma in materia di astensione obbligatoria dal lavoro della donna che ha partorito, se ha “certamente il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto…. considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, e tanto non solo per ciò che attiene i bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino”. La norma in esame si colloca – nel quadro delle disposizioni che vietano l’espulsione ed il respingimento dello straniero per ragioni di carattere umanitario e più in generale all’interno della disciplina sull’ingresso ed il soggiorno degli stranieri – nella stessa peculiare posizione; anche in questo caso infatti viene in rilievo, oltre alla tutela della salute della donna straniera incinta o che abbia partorito da non oltre sei mesi – situazione soggettiva che come tale giustificherebbe ex se una tutela rafforzata – l’esigenza di assicurare una speciale protezione alla famiglia in generale, ed ai figli minori in particolare, che hanno il diritto di essere educati all’interno del nucleo familiare per conseguire un idoneo sviluppo della loro personalità; una protezione che non può non ritenersi estesa anche agli stranieri che si trovino a qualunque titolo sul territorio dello Stato perché, come questa Corte ha già più volte avuto modo di affermare, “il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia, sono ….. diritti fondamentali della persona che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri” (sentenza n. 28 del 1995, richiamata anche dalla sentenza n. 203 del 1997).
6. – I principi di protezione dell’unità familiare, con specifico riguardo alla posizione assunta nel nucleo dai figli minori in relazione alla comune responsabilità educativa di entrambi i genitori, non trovano riconoscimento solo nella nostra Costituzione ma sono affermati anche da alcune disposizioni di trattati internazionali ratificati dall’Italia, tra le quali: quelle di cui agli artt. 8 e 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848; l’art. 10 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e l’art. 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, ratificati e resi esecutivi dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881; gli artt. 9 e 10 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176; dal complesso di queste norme, pur nella varietà delle loro formulazioni, emerge un principio, pienamente rinvenibile negli artt. 29 e 30 Cost., in base al quale alla famiglia deve essere riconosciuta la più ampia protezione ed assistenza, in particolare nel momento della sua formazione ed in vista della responsabilità che entrambi i genitori hanno per il mantenimento e l’educazione dei figli minori; tale assistenza e protezione non può non prescindere dalla condizione, di cittadini o di stranieri, dei genitori, trattandosi di diritti umani fondamentali, cui può derogarsi solo in presenza di specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle stesse regole della convivenza democratica.
7. – La norma in esame, pur apprestando nella particolare materia dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio dello Stato una tutela adeguata nei riguardi della donna incinta e di colei che ha partorito da non oltre sei mesi, omette tra l’altro di considerare proprio quelle ulteriori esigenze del minore e cioè il suo diritto ad essere educato, tutte le volte che ciò sia possibile, in un nucleo familiare composto da entrambi i genitori e non dalla sola madre; consentendo l’espulsione del marito convivente, come esattamente osserva il giudice rimettente, la norma mette oltretutto la donna straniera che si trova nel territorio dello Stato in una alternativa drammatica tra il seguire il marito espulso all’estero e l’affrontare il parto ed i primi mesi di vita del figlio senza il sostegno del coniuge, e questo proprio nel momento in cui si va formando quel nuovo più ampio nucleo familiare che la legge, in forza degli artt. 29 e 30 Cost., deve appunto tutelare.
8. – Come questa Corte ha già stabilito (sentenza n. 341 del 1991), esiste un principio di “paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi”, in forza del quale deve ritenersi costituzionalmente illegittima la norma de qua nella parte in cui non prevede un divieto di espulsione anche nei riguardi del marito convivente della donna incinta o della donna che abbia partorito da non oltre sei mesi; la presenza del padre è infatti essenziale nel delicato periodo preso in considerazione dal legislatore quando ha stabilito, all’art. 17, comma 2 della legge, la particolare tutela della madre e del bambino. La giurisprudenza di questa Corte ha già più volte sottolineato come numerose norme, a partire dagli anni ’70, abbiano “dato sempre maggiore realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità fra uomini e donne, della funzione sociale della maternità”, avuto riguardo ai “superiori interessi del bambino come oggetto di tutela diretta, quando non prevalente ed esclusiva” (sentenza n. 179 del 1993).
Lo stesso legislatore, del resto, nella recente legge 8 marzo 2000, n. 52 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città), ha previsto speciali disposizioni a sostegno, oltre che della maternità, anche della paternità.
E’ quindi evidente che, una volta parificata la posizione del marito convivente con donna incinta, o che ha partorito da non oltre sei mesi, con quella della stessa, deve essere esteso anche a tale soggetto il divieto di espulsione, salvo che sussistano i motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato previsti dall’art. 11, comma 1, richiamato dall’art. 17, comma 2 della legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ora sostituito dall’art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
F:to:
Cesare MIRABELLI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 luglio 2000.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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