L’APPARTENENZA DEL MAGISTRATO ALLA MASSONERIA NEL PERIODO ANTECEDENTE AL MARZO 1990 PUÒ CONFIGURARE ILLECITO DISCIPLINARE OVE SI ACCERTI UNA SUA ATTIVA MILITANZA
Per le affiliazioni o appartenenze successive al marzo 1990 la colpa è “in re ipsa” – (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 1736 del 18 febbraio 1997, Pres. La Torre, Rel. Genghini).
Nel 1994 il magistrato F.P. è stato sottoposto a procedimento disciplinare per avere assunto, con giuramento prestato per affiliazione alla loggia massonica “Athernum” di Pescara, il 5 luglio 1978, impegni incompatibili con i doveri di trasparenza («non palesare i segreti della iniziazione muratoria”), di imparzialità (“difendere i suoi Fratelli”), di soggezione soltanto alla legge (“non professare principi che osteggino quelli propugnati dalla libera Muratoria”), così rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui doveva godere.
La Sezione disciplinare, non senza dare atto che il Dr. F. nel 1979 era passato al “grado II) della massoneria” e che da questa era stato “depennato” in data 4 gennaio 1985 per “scarsa frequentazione”, affermava la responsabilità dell’incolpato, irrogandogli la sanzione dell’ammonimento: ciò in quanto egli, per il solo fatto di avere prestato il giuramento massonico, era venuto meno al dovere di fedeltà alla Repubblica.
Il magistrato ha impugnato questa decisione con ricorso alla Suprema Corte, sostenendo che la responsabilità disciplinare non può essere affermata unicamente in base ad un dato oggettivo, ossia per il fatto di aver prestato nel 1978, il giuramento massonico, senza tener conto che all’epoca l’appartenere alla massoneria non era percepibile come disdicevole per un magistrato, avendo il Consiglio Superiore della Magistratura adottato la prima delibera in tal senso il 22 marzo 1990. La Corte (Sezioni Unite Civili n. 1736 del 18 febbraio 1998, Pres. La Torre. Rel. Genghini) ha accolto il ricorso affermando che l’appartenenza alla massoneria ha assunto, di per sé, le connotazioni di un illecito disciplinare soltanto nel marzo 1990, allorché il Consiglio Superiore della Magistratura ha affermato con chiarezza l’incompatibilità fra affiliazione massonica e l’esercizio delle funzioni di magistrato. Per stabilire se l’appartenenza alla massoneria, nel periodo antecedente al marzo 1990 possa configurare per un magistrato un illecito disciplinare – ha affermato la Corte – non è sufficiente stabilire che egli abbia prestato il giuramento iniziatico, ma occorre accertare la sussistenza di altri elementi negativi, ed in particolare quelli derivanti da un’impegnata e attiva militanza, quali: a) la lunga durata dell’appartenenza alla massoneria; b) la frequentazione assidua e comunque non sporadica; c) il cursus honorum che il magistrato abbia conseguito all’interno di essa, essendo ciò il segno di una benemerenza che, nella sua immagine rovesciata, si pone in contrasto, per il magistrato, con i doveri di dedizione all’ufficio e apre, inoltre, il dubbio del se e quanto quella estranea benemerenza sia stata o sia apparsa propiziata dalla funzione giudiziaria. Ancora: d) la mancanza di discrezione o addirittura l’ostentazione nell’esibire l’appartenenza alla massoneria cosi da ingenerare nei terzi o l’impressione di favorevoli predisposizioni (verso “i fratelli”) o il timore (da parte degli altri) di parzialità, pregiudicando in ambo i casi la considerazione del magistrato e la credibilità della funzione giudiziaria; e) la situazione ambientale, laddove il ruolo della massoneria o il potere d’influenza a essa attribuita dall’opinione pubblica del luogo rende o fa sembrare ancora più inaffidabile la posizione del magistrato, degradandone la figura. In queste e in ogni altra manifestazione comportamentale del genere, che nell’ampia varietà dei casi può presentarsi al motivato accertamento di merito del giudice disciplinare, vi è una condotta deontologicamente riprovevole della quale il magistrato ha piena consapevolezza, conoscendone o dovendo conoscerne il disvalore. Occorre, in conclusione – ha affermato la Corte – tener presente un duplice discrimine:
– il primo è di carattere temporale: per le affiliazioni o appartenenze massoniche successive al 22 marzo 1990, la colpa è “in re ipsa”, consistendo nell’inosservanza del divieto posto dalla risoluzione consiliare emessa in quella data, e restando solo da valutare – anche ai fini della sanzione più appropriata – l’entità e il grado della colpa;
– il secondo discrimine, che riguarda i comportamenti anteriori, è di natura sostanziale: essi integrano o no l’illecito disciplinare secondo che, in concreto, sia accertata o esclusa la “colpa” nel senso sopra indicato.
Questa linea interpretativa – ha osservato la Corte – sembra la più idonea per conciliare il giusto rigore della risoluzione consiliare del 22 marzo 1990 con 1’esigenza, altrettanto giusta, di differenziare posizioni soggettive che, anche nella valutazione deontologica, non sono uguali (a volte anzi sono assai diverse) e che, altrimenti, verrebbero indiscriminatamente accomunate nella stessa ottica punitiva. Un tale appiattimento valutativo, appena attenuato ma non eliminato sul piano sanzionatorio dalla distinzione fra censura e ammonimento (che è pur sempre una pena), finisce, oltre tutto, per ferire il principio costituzionale di uguaglianza, in quanto parifica situazioni fra loro diverse, quali sono: a) sotto il profilo temporale, da una parte, i comportamenti che, essendo successivi alla risoluzione consiliare del 22 marzo 1990, sono già di per sé inosservanti del divieto ivi posto e per ciò stesso contra ius, e dall’altra invece quelli che, essendo anteriori, non sono connotabili con questa impronta di illiceità; b) sotto il profilo sostanziale, poi, da una parte i contegni discutibili sotto il profilo puramente formale, o al più dello stile, e dall’altra invece quelle condotte che sono effettivamente e sicuramente lesive della deontologia del magistrato (tanto se posteriori quanto se antecedenti alla suddetta data).
Nel caso in esame – ha concluso la Corte – trattandosi di affiliazione antecedente al 1990, la Sezione disciplinare avrebbe dovuto considerare che il magistrato si è difeso sin dall’inizio affermando di non aver partecipato ad altra riunione massonica dopo quella di iniziazione nella quale prestò giuramento, essendo rimasto sostanzialmente estraneo all’attività di quella associazione, indifferente alla non richiesta promozione e persino moroso nel pagamento di alcune quote associative.
Il presente collegamento è tratto da www.legge-e-giustizia.it
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